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L’11 aprile del 1987 moriva, probabilmente suicida, Primo Levi. Partigiano antifascista, il 13 dicembre 1943 veniva arrestato dai fascisti in Valle d’Aosta, venendo prima mandato in un campo di raccolta a Fossoli e, nel febbraio dell’anno successivo, deportato nel campo di concentramento di Auschwitz in quanto ebreo.
Scampato al lager, tornerà in Italia, dove si dedicherà con impegno al compito di raccontare le atrocità viste e subite alla cui narrazione dedicherà la sua intera esistenza. Se comprendere è impossibile, era solito dire, conoscere è necessario. Perché ciò che è accaduto può ritornare e le coscienze possono ancora essere corrotte. Anche le nostre.
“Può accadere - scriveva ne I sommersi e i salvati - e dappertutto. Non intendo né posso dire che avverrà; (...) è poco probabile che si verifichino di nuovo, simultaneamente, tutti i fattori che hanno scatenato la follia nazista, ma si profilano alcuni segni precursori. La violenza, ‘utile’ o ‘inutile’, è sotto i nostri occhi: serpeggia, in episodi saltuari e privati, o come illegalità di stato (...) Attende solo il nuovo istrione (non mancano i candidati) che la organizzi, la legalizzi, la dichiari necessaria e dovuta e infetti il mondo. Pochi paesi possono essere garantiti immuni da una futura marea di violenza, generata da intolleranza, da libidine di potere, da ragioni economiche, da fanatismo religioso o politico, da attriti razziali. Occorre quindi affinare i nostri sensi, diffidare dai profeti, dagli incantatori, da quelli che dicono e scrivono ‘belle parole’ non sostenute da buone ragioni (...) Ci viene chiesto dai giovani, tanto più spesso e tanto più insistentemente quanto più quel tempo si allontana, chi erano, di che stoffa erano fatti, i nostri ‘aguzzini’. Il termine allude ai nostri ex custodi, alle SS, e a mio parere è improprio: fa pensare a individui distorti, nati male, sadici, affetti da un vizio d’origine. Invece erano fatti della nostra stessa stoffa, erano esseri umani medi, mediamente intelligenti, mediamente malvagi: salvo eccezioni, non erano mostri, avevano il nostro viso, ma erano stati educati male”.
“Quando ho cominciato a leggere Primo Levi - dirà anni dopo Liliana Segre - mi sono resa conto di ciò che ancora non avevo capito, elaborato, e che aveva trovato le parole giuste per descrivere l’indicibile. Il mondo aberrante del lager dove ho vissuto richiedeva un passaggio che Levi ben descrive nel suo libro dal titolo ‘La tregua’. Se uno esce di prigione dopo aver scontato una pena si immerge nuovamente nella quotidianità con un percorso di reinserimento più o meno lungo, in funzione anche della durata della pena, ma pur sempre cosciente della realtà che lo circonda. Se, per ipotesi, un lager fosse stato improvvisamente aperto dagli aguzzini per lasciare liberi i detenuti, questi non potevano pensare di ritornare a contatto con la realtà: nei lager c’era una non vita che cancellava sentimenti, annientava le menti, oltre che i corpi, disumanizzava ogni essere che pur manteneva, di umano, le fattezze. Un’uscita improvvisa dai lager poteva portare alla follia”. I funerali dello scrittore si terranno il 13 aprile.
Una funzione molto sobria perché il giorno dopo sarebbe incominciata la Pasqua ebraica, periodo nel quale non si possono tenere cerimonie - neppure funebri - aperta dalla lettura da parte del rabbino Emanuele Artom del salmo n. 90.
“Il Signore ti libererà dal laccio del cacciatore, dalla peste che distrugge. Ti coprirà con le sue penne sotto le sue ali troverai rifugio. La sua fedeltà ti sarà scudo e corazza. Non temerai i terrori della notte né la freccia che vola di giorno, la peste che vaga nelle tenebre, lo sterminio che devasta a mezzogiorno. Mille cadranno al tuo fianco e diecimila alla tua destra; ma nulla ti potrà colpire. Solo che tu guardi, con i tuoi occhi vedrai il castigo degli empi. Poiché tuo rifugio è il Signore e hai fatto dell’Altissimo la tua dimora, non ti potrà colpire la sventura, nessun colpo cadrà sulla tua tenda”.
Dall’Istituto di Medicina legale la bara sarà trasportata al primo reparto israelitico del Cimitero generale di Torino e qui sepolta alla presenza delle associazioni di deportati, Norberto Bobbio, Giulio Einaudi, i colleghi della Siva, Società industriale vernici affini, di Settimo Torinese dove Levi aveva lavorato per trent’anni.
“È morto un autore le cui opere ce le troveremo di fronte al momento del Giudizio Universale”, sarà - sul Corriere della Sera - il commento di Claudio Magris. Come non dargli ragione.