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Primi giorni del nuovo anno, e il pianeta omicron è entrato a far parte dell’universo-scuola con tutte le molteplici e confuse conseguenze del caso. Noi insegnanti ci troviamo di fronte alla gestione dell’ingestibile, pronti a tutto e al suo contrario, consapevoli che ogni giornata di scuola in presenza rappresenta un vero e proprio terno al lotto. Proviamo a fare un po’ di cronaca.
Circolare n.99 (e siamo ancora a gennaio): “Per la scuola secondaria di primo grado, con un caso di positività nella stessa classe è prevista l’autosorveglianza con la prosecuzione delle attività e l’uso delle mascherine FfP2”. Peccato che, al momento, al posto delle suddette arrivino scatole delle vecchie mascherine, scomode e pressoché inutilizzabili prima, figuriamoci ora. Ma andiamo avanti, una FfP2 si rimedia.
“Con 2 casi nella stessa classe è prevista la didattica digitale integrata per gli allievi che non hanno avuto la dose di richiamo e hanno completato il ciclo vaccinale da più di 120 giorni, o per coloro che sono guariti da più di 120 giorni”. Bene. Iniziamo il tetris. Un alunno non è tornato a scuola perché positivo. Attivare la dad. Ripeto: attivare la dad, questa non è un'esercitazione. Intanto però l’alunno si è negativizzato. Domani dovrebbe rientrare ma solo con certificato, che però non sarà pronto prima di dopodomani; quindi si può pensare alla dad per qualche ora, ma in quali ore? Accordarsi tra docenti, e proseguire.
“Con 3 casi nella stessa classe è prevista la didattica a distanza per dieci giorni per tutta la classe”. Tornare dunque ad attivare la dad. Ma se nel corso dei dieci giorni uno dei tre positivi si negativizza, che si fa, si torna alla didattica mista (in bocca al lupo), personalizzata ai due positivi e a chi non ha richiamo o già guarito, collegati con il pc del prof in cattedra e il resto degli alunni in classe? Inoltre, se l’alunno positivo non è asintomatico e accusa febbre, raffreddore e mal di ossa, deve essere costretto a seguire la dad? Mistero della fede. Ammettiamo poi, soltanto per ipotesi, che quel giorno il prof di turno non abbia portato in aula il suo pc, perché non funzionante, oppure perché sua figlia è a sua volta in quarantena, e la mattina ha bisogno dell’unico portatile disponibile in casa per seguire le lezioni. Che si fa?
Si dirà: un professore deve avere per forza un pc, o un tablet, o un telefono attraverso cui assolvere qualsiasi impegno scolastico, anche perché ormai si lavora soltanto con il registro elettronico. Appunto: se il registro elettronico è diventato strumento didattico insostituibile (una volta si dovrà parlare anche di questo), ogni cattedra dovrebbe esser dotata, come in ogni ufficio o nella maggior parte degli istituti scolastici europei, di un dispositivo attraverso cui operare con adeguata connessione come quando è necessario collegarsi da casa, dove elettricità e wi-fi sono a carico del lavoratore.
Nel frattempo la collega di sostegno ha fatto il booster (“richiamo” non si può dire?), e da qualche giorno non viene sostituita. Ma per tenere la scuola aperta servono soprattutto insegnanti, che non vengono mandati al macello come alcuni sostengono (o almeno tanto quanto altre categorie, ancor meno protette): ma andrebbero supportati ogni giorno, vista la situazione, che se non viene vissuta sul campo è complicato anche descrivere.
In ultimo, in presenza o da remoto, ci sarebbe la didattica, se ancora importa a qualcuno. Che significa preparare una lezione, correggere i compiti, organizzare le interrogazioni, provando in un modo o nell’altro a chiudere il quadrimestre, sempre più vicino. Invece si corre dietro a collegamenti mal riusciti, scadenze burocratiche zeppe di acronimi, consigli di classe ordinari e straordinari, supplenze dell’ultimo momento, mentre la chat con le mamme rappresentanti di classe ribolle per sapere cosa fare, e il docente coordinatore deve essere pronto nel rispondere, possibilmente indicando soluzioni e certezze: quando l’unica, di certezza, è che tutto questo prima o poi dovrà finire. O forse è solo una speranza.
Domani è un altro giorno.