Nuova edizione per il festival del cinema del Mediterraneo che festeggia quest’anno il suo trentennale. Fino al 17 novembre proiezioni, anteprime ed eventi animano la capitale. Dal concorso cinematografico ai meeting industry, dalle retrospettive storiche ai focus tematici, dalle presentazioni letterarie alle masterclass universitarie, fino agli incontri in carcere con i detenuti.  Tra le location, il MAXXI - Museo nazionale delle arti del XXI secolo, il The Space Cinema Moderno, il Teatro Palladium, la Casa del Cinema.

Martina Zigiotti, responsabile della programmazione, in questi trent’anni due cose sono molto cambiate: il modo di fare cinema e la geopolitica nell’area del Mediterraneo. In che modo questi due elementi si riflettono nell’edizione di quest’anno?

Questo trentesimo anno è un punto di arrivo, ma anche di ripartenza, per continuare a fare il lavoro profondamente politico che abbiamo sempre fatto e per far conoscere l’immensa ricchezza cinematografica di tutti i paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Di alcuni sappiamo anche molto poco, eppure hanno delle cinematografie incredibili. Pensiamo all'Algeria, alla Tunisia, al Marocco, ma anche ad altri di cui si parla di meno. La nostra è una storia d’amore con film e registi che non si esaurisce solo con la proiezione nei giorni del festival, ma continua anche negli anni, soprattutto per provare a far arrivare quei film che hanno circuiti ristretti, pur essendo bellissimi. Film che ci aiutano a decostruire tutti i cliché e i pregiudizi che possiamo avere su certi paesi, e poi a scoprire quanta ricchezza cinematografica produca l’area del Mediterraneo. Questo festival è un porto, un luogo di ascolto e di accoglienza, di dialogo tra la sponda Nord e la sponda Sud. Siamo anche un festival istituzionale, per cui oltre a interfacciarci con gli artisti cerchiamo anche di costruire ponti con le istituzioni di paesi con i quali si fa più fatica a dialogare.

Siete diventati un punto di osservazione privilegiato su quello che succede in questi paesi, attraverso i linguaggi del cinema. A proposito di decostruire i cliché, lo si vede già dalla selezione dei titoli proposti, dove non si parla solo – come si potrebbe immaginare – di immigrazione. C’è spazio per tanti temi, tra cui quello della maternità.

Esattamente, cerchiamo di partire dai temi che gli artisti affrontano, piuttosto che dall’idea astratta di cosa voglia dire parlare di Mediterraneo. Molti dei film di quest’anno, per esempio, affrontano le tematiche dell'emancipazione femminile, la maternità, la scoperta di sé. Ci sono molte storie che sono anche dei coming of age dal punto di vista del genere. Siamo erroneamente abituati a pensare che un festival di cinema del Mediterraneo debba affrontare solo tematiche drammatiche o pesanti. E invece c’è tanto spazio anche per la commedia, per i musical, per le cose che fanno ridere. E poi sì, ci sono tantissimi film che raccontano la maternità. Per esempio il film spagnolo Salve Maria, di Mar Coll, che racconta la storia di una madre che si pente di esserlo diventata. O il film tunisino che indaga l’animo della madre di un terrorista, della regista Meryam Joobeur, Who do i belong do. E ancora, la storia di una donna marocchina che sogna di diventare cantante e deve scegliere tra carriera e maternità. 

Tanti film in concorso. Ma anche cortometraggi, lavori delle scuole di cinema, masterclass.

Sì, senza dimenticare i documentari, quello sulla strage di Srebrenica e quello sulla vita dei coloni in Giordania, realizzato da due registi israeliani e due palestinesi insieme. Anche questa cosa è pontentissima. E poi un film iraniano, che racconta la storia normalissima di una coppia che divorzia. Il cinema iraniano, per esempio, non è tutto per forza conflitti etici e politici. Ci sono anche storie di vita quotidiana. C'è anche tanta normalità.

Quanto è complicato e quanto dura questo lavoro che voi fate per arrivare a una selezione finale?

È veramente un lavoro lungo e accurato di ricerca, anche molto divertente perché io sono la responsabile della programmazione lungometraggi ma ho un comitato di selezione molto nutrito, per cui noi sin da febbraio guardiamo film, discutiamo. A volte andiamo d'accordo, a volte no, a volte troviamo dei punti di incontro, a volte ci sono degli amori a prima vista per alcuni dei film che vediamo. Con me ci sono Veronica Flora, Alessandro Zoppa, Giulia De Luca Gabrielli. Ma soprattutto, la direttrice artistica e fondatrice del festival, Ginella Zocca. Facciamo un lavoro bellissimo, in cui veramente si dialoga tanto.

Dicevamo prima che c’è una importante parte istituzionale e che è un festival politico. Dunque può essere un contesto privilegiato per riflettere su questo momento storico così complicato per l’area del Mediterraneo.

Fare cinema può e deve essere un atto politico. Il nostro compito è anche quello di proporre una narrazione alternativa e non mainstream di alcune relazioni tra paesi, delle situazioni vissute nei paesi stessi. Vuol dire parlare di confini, di conflitti, di persone che lasciano il proprio paese d'origine. Vuol dire costruire e decostruire.

E vuol dire anche offrire delle proposte cinematografiche che, per motivi legati alla distribuzione, altrimenti non arriverebbe mai nel nostro paese e nelle nostre sale.

E che, invece, spesso sono tra le opere più interessanti e più vivaci della scena internazionale. Noi ospitiamo, per esempio, decine e decine di cortometraggi al festival. Pensiamo alla sezione dedicata ai lavori prodotti in carcere, curata da Veronica Flora. Ma quando mai uno ha l'occasione di vedere film che vengono girati negli istituti penitenziari da detenuti? Quello è un percorso per noi molto importante, che facciamo grazie alla collaborazione con il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria che ci permette di rendere questi film accessibili al pubblico. C’è un pezzo che riguarda invece i lavori degli studenti di cinema. Tante piccole perle, insomma, che rischierebbero di rimanere sconosciute ai più e a cui noi diamo spazio.

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