Dallo scorso 26 giugno l’Autonomia differenziata è legge, dopo un acceso e turbolento dibattito tra Camera e Senato, a cui ha fatto seguito un rapido compattamento delle opposizioni, tradotto in poche settimane nell’organizzazione della campagna referendaria avviata dal neonato “campo largo”, anzi larghissimo, a difesa della Repubblica democratica italiana.

Ma cos’è l’Autonomia differenziata? In che modo dovrebbe realizzarsi? Ed è vero che, come in molti sostengono, aumenti il divario tra il Nord e il Sud del nostro Paese, a favore del primo? A questi e altri interrogativi risponde, in maniera non soltanto tecnicamente ineccepibile nell’approccio alla materia, ma offrendo concreti elementi di comprensione al lettore comune, il libro di Stefano Fassina dal titolo Perché l’Autonomia differenziata fa male anche al Nord, (Castelvecchi editore, pp. 154, euro 17).

Nella prefazione al volume è Pier Luigi Bersani a evidenziare “le conseguenze paradossali dell’autonomia differenziata in termini di maggiori oneri amministrativi e indebolimento competitivo che ne deriverebbero, non solo per l’Italia nel suo insieme, ma per ogni singola impresa, per i lavoratori e le lavoratrici, per le famiglie, tanto del Nord quanto del Sud”. E chi crede attraverso il Ddl Calderoli di raccogliere benefici in termini di migliori servizi o minore imposizione fiscale, soprattutto al Nord, rimarrà fortemente deluso.

Perché la realtà, con buona pace di Calderoli e i suoi sodali, è che l’Italia, unitasi con tanta fatica, pur nelle molteplici e profonde differenze continua a essere una e indivisibile, come recita l’Articolo 5 di quella Costituzione italiana forse mai così bistrattata come in questi ultimi anni; e le Regioni italiane mantengono tra loro una naturale e inevitabile reciprocità, forti anche di un sistema delle autonomie che certamente può (se non deve) essere rivisto e aggiornato, ma non per questo stravolto nelle normative, e nel nome di un “do ut des” meglio conosciuto come scambio partitico, quello tra Fratelli d’Italia e Lega, tra Presidenzialismo (o Premierato) e un arruffato tentativo di camouflage di matrice pseudo-secessionista, che consenta di abbindolare su temi a loro cari larghe fette dei rispettivi elettorati.

Già nella sua premessa l’autore avverte che quella dell’Autonomia differenziata non è l’ennesima “questione meridionale”, ma coinvolge l’intera Nazione. “Non è un gioco a somma zero, con un Sud a segno meno e un Nord a segno più, ma una somma negativa per il Paese intero - ci dice l’autore -. Un dato che si coglie guardando all’economia reale, perché aumenteranno esponenzialmente adempimenti burocratici per imprese e liberi professionisti, soprattutto al Nord, e si aprirà un varco per un dumping regolativo e retributivo”.

Assisteremo dunque a una sorta di competizione tra Regioni, dove quelle del Sud “abbasseranno gli standard in termini ambientali, sanitari, nella sicurezza sul lavoro - continua Fassina -; e nel momento in cui si arriverà a produrre contratti regionali su pubblico impiego, scuola e sanità, inevitabilmente viene compromessa la tenuta del contratto nazionale collettivo di lavoro”. Ci sono poi le strutture intese come servizi, che dovrebbero accogliere queste trasformazioni; tema scottante e già poco bilanciato oggi, che con una legge così confezionata “andrebbe a sfavorire le imprese del Nord, dovendo sopportare ritardi ulteriori per lavori di sovrastrutture, perché strategiche e di carattere nazionale, e dove i presidenti di Regione, tra compartecipazioni e tributi erariali, potrebbero far registrare conseguenze negative sui tassi d’interesse anche per famiglie e imprese del Nord, con rincari di mutui e prestiti che andranno a fare in banca”.

Infine, con l’Autonomia differenziata nella sua versione leghista, secondo Fassina “l’Italia sarà l’unico Paese al mondo di stato federale senza una Camera della Autonomie regionali per coordinare i rapporti con il Parlamento nazionale”. Nel libro si portano gli esempi di Germania e Spagna, “ma potremmo parlare anche di Belgio, o Austria, per restare soltanto in Europa: senza una Camera delle Regioni rimarremo ingessati tra 21 intese regionali definite per almeno 10 anni, un incubo per l’introduzione alla legge di bilancio, solo per fare un esempio”.

Tra i meriti del libro c’è anche il vasto raggio di opinioni e interventi presi in considerazione, tra cui i pareri espressi da Banca d’Italia e Confindustria, se non negativi per lo meno perplessi e preoccupati sulle conseguenze dell’applicazione della legge, il cui testo però è arrivato in Parlamento a gennaio del 2023, mentre le audizioni riguardo eventuali modifiche erano state previste successivamente proprio per evitarle dato che, ribadisce Fassina, “politicamente il vincolo di questo mandato era di non toccare nulla, nonostante gli allarmi documentati dalle massime istituzioni indipendenti, oltre che dalle organizzazioni sindacali. Invece hanno tirato dritto, con gli emendamenti delle opposizioni sistematicamente bocciati per volontà politica. Il parlamento è stato marginalizzato, ancor più sui Lep, la foglia di fico dei “Livelli essenziali di prestazione”, e sulla definizione delle intese tra governo nazionale e presidenti di Regione”.

E con la perdita da parte del parlamento del controllo legislativo di materie fondamentali, il rischio è che l’Italia tornerà a essere “un’espressione geografica, costretta ad auto-rappresentarsi come un vaso di coccio, in tavoli nei quali sempre di più tutti, in Europa e nel resto del mondo, tendono a sedersi dando un’immagine di Nazione”.

Se Referendum sarà, sarà un Referendum per l’Italia.