“Non sono una critica, sono una sindacalista. Ma sono un’appassionata d’arte e mi sono ritrovata a studiare”. Fa una premessa che definisce doverosa, Eliana Como, prima di cominciare a raccontare cosa l’ha portata a diventare curatrice della mostra Che genere di arte: le artiste cancellate dalla storia dell’arte, inaugurata nei giorni scorsi alla Cgil di Teramo, dove resterà fino al 26 gennaio 2025.

UNA PAGINA FACEBOOK

Ma tutta quella passione è il motore di un percorso cominciato nel 2019, con l’apertura della pagina facebook omonima, e la nascita di un progetto artistico significativo e ambizioso: riportare alla luce, come in un dipinto restaurato, quei soggetti che il tempo e le insidie hanno cancellato. In questo caso, le artiste.

LE MINIATURISTE DEL MEDIOEVO

“Incredibile come la maggior parte delle donne siano state dimenticate sistematicamente, non compaiono neanche nei manuali di storia dell’arte” spiega Eliana Como, che negli ultimi anni è andata a recuperare con lavoro certosino opere e nomi delle artiste che le hanno realizzate nei secoli. E proprio a proposito di monaci: “Siamo sempre stati convinti che gli amanuensi fossero uomini istruiti che hanno permesso al patrimonio dell’arte medievale di arrivare fino a noi e non sapevamo che, invece, in molti casi si trattava di artiste, donne”.

UNA CANCEL CULTURE ANTE LITTERAM

Miniaturiste, pittrici, scultrici, che sono state persino note al pubblico, nelle epoche in cui hanno vissuto. Eppure vittime di una feroce cancel culture ante litteram, che non ha permesso loro di arrivare fino a noi. A differenza delle opere realizzate, che pure sono esposte nei musei in giro per il mondo, ma non campeggiano nell’indice analitico di saggi e manuali. “Basti pensare che “nel manuale La storia dell’arte di Gombrich, il libro d’arte più venduto al mondo, tra le oltre 400 immagini e centinaia di pagine, solo una è dedicata a un’opera di una donna. Si tratta di Not (Il bisogno), realizzata nel 1897 da Käthe Kollwitz”.

LA DAMNATIO MEMORIAE

“Un’assenza che racconta quanto il sistema dell’arte abbia escluso le donne dalla narrazione ufficiale”. Artiste, come anche letterate, scienziate, filantrope, scrittrici, che nei secoli hanno dovuto faticare per affermarsi e affermare la propria libertà. Spesso anche a costo della felicità. E che però hanno subito una seconda discriminazione, come la definisce Como: “Essere state cancellate dai libri”. Una damnatio memoriae che tutt’ora si fatica a contrastare.

LA FATICA DI CHIAMARSI PITTRICE

“Noi ci domandiamo spesso come mai siano state così poche le artiste nella storia – osserva la sindacalista e curatrice della mostra – ma al contrario dovremmo domandarci come abbiano fatto a essere così tante”. Questo perché, come spiega Eliana Como, per secoli lo status di pittrice o scultrice era riservato a chi già nasceva figlia d’arte. In più bisognava essere dotate del dono e pronte a esercitarlo. Le grandi accademie, fino agli inizi del Novecento, hanno interdetto l’accesso alle donne, e poi perpetrato a lungo il divieto di seguire i corsi di nudo.

SOLO DA NUDE ENTRANO NEI MUSEI

Do women have to be naked to get into the Metropolitan Museum” recita il manifesto geniale, adottato dalla mostra, e realizzato dalle Guerrilla Girls, un collettivo anonimo di artiste che si celavano dietro la maschera di un gorilla. “Le donne possono entrare soltanto se nude in un museo”, un’intuizione acuta e divertente al tempo stesso, che mette in evidenza una dolorosa e atavica idiosincrasia: le donne come oggetto – corpo nudo – dell’arte. Ma non riconosciute come soggetto della creazione artistica.

SE PICASSO FOSSE STATO DONNA

“Cosa sarebbe accaduto se Rembrandt, Picasso, Van Gogh fossero nati donne?”, si chiede Eliana Como: “Ma pensiamo anche a un’artista ricordata e riconosciuta al livello mondiale: Frida Kahlo è stata per moltissimo tempo solo la moglie di Diego Rivera”. I primi passi di questa rivoluzione culturale verso una narrazione di genere della storia dell’arte risalgono agli anni ottanta. “Soprattutto negli Stati Uniti e nei paesi anglosassoni ha cominciato ad affermarsi una letteratura specifica per raccontare le artiste. La prima grande storica dell'arte che se ne occupò fu l’americana Linda Nochlin, autrice di un manuale che andava dal 1400 al 1900. Nel 1980 a Milano Lea Vergine realizzò la mostra L’altra metà dell’avanguardia”.

UNA NARRAZIONE DI GENERE

Non un caso, certo, che questo percorso sia iniziato negli stessi luoghi di nascita dei gender studies, per poi arrivare al resto del mondo. Eppure, quarant’anni dopo, si fa ancora fatica a consultare dei manuali di storia che siano davvero emblematici di un cambio di paradigma. E se, come qualcuno pubblicamente sostiene, il patriarcato non esiste, anche le donne più illustri, nella narrazione mainstream, non esistono ancora. O non ancora completamente.

RISCRIVERE UNA STORIA NUOVA

“Auspico un momento – dice Como – in cui si possano riscrivere i manuali da zero. Ovvero non solo affiancare la narrazione di genere a quella “principale”. Ma proprio raccontare la storia da capo, da una prospettiva più giusta, autentica, equilibrata”.

LA VICENDA DI CHARLOTTE SALOMON

Ci troveremo finalmente il nome di Charlotte Salomon, nata a Berlino nel 1917 e morta ad Auschwitz nel 1943. “Una pittrice espressionista di origine ebraica, potentissima, che realizzò un suo personale Diario di Anna Frank, ma per immagini. E con i soli quattro colori primari di cui disponeva, nel suo esilio a Vichy”. Fu proprio Otto Frank, dopo la morte della ragazza, a suggerire a suo padre che tutto quel prezioso patrimonio artistico non poteva e non doveva rimanere un’eredità privata. “Immagini meravigliose – conclude Eliana Como – che commuovono, e tramandano una storia che tutti dovremmo conoscere”.