Una Classe, tante Storie. La Innocenti di Lambrate, l’Alfa di Arese, la Breda, la Falck. Resti di un’archeologia industriale che oggi perdura nella memoria, e in alcuni luoghi della città che col tempo hanno cambiato pelle, volto, destinazione. Di queste fabbriche che hanno fatto la storia industriale del Paese, e dei loro operai, esiste un patrimonio sconfinato e diffuso, che si sta provando a recuperare, con un’operazione di sistema. “L’idea di fondo è valorizzare il patrimonio dell’Archivio del Lavoro di Sesto San Giovanni – spiega Giancarlo Pelucchi, referente del progetto per l’Archivio – ma anche ridare a foto, video e audio una seconda vita”.

Proprio per questo un team di sindacalisti, studiosi, comunicatori sta lavorando per creare opportunità di riuso di questi materiali, oltre che di incontro delle persone che ne sono stati i protagonisti. È successo, per esempio, lo scorso 9 ottobre, con un seminario dedicato alla Innocenti di Lambrate, nel corso del quale i promotori hanno riunito un gruppo di operai che non si vedevano da 25 anni.

Una Classe, tante Storie - L'Innocenti di Lambrate

“Li abbiamo fatti parlare, raccontare, ricordare. Abbiamo registrato le loro voci. L’obiettivo è raccogliere testimonianze intorno ad alcuni focus tematici attraverso interviste individuali, ma anche momenti collettivi in cui ci si siede a un tavolo e si ricostruisce insieme una memoria condivisa”. Fabbriche come l’Alfa e la Innocenti hanno rappresentato l’avanguardia industriale più avanzata, anche rispetto all’organizzazione del lavoro e al rapporto con gli operai.

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“Qui la catena di montaggio era stata sostituita dalle isole – racconta Pelucchi – che permettevano di compiere più operazioni, e dunque di uscire da una pratica fisica e mentale totalmente alienante”. La manodopera era estremamente qualificata. Al tempo stesso, faceva parte di una classe lavoratrice molto cosciente della sua condizione, eppure altrettanto intimamente legata al prodotto del proprio lavoro da un senso di profondo orgoglio.

Una realtà che oggi non esiste più. Così come non esistono più molti degli stabilimenti di queste fabbriche chiuse alcuni decenni fa. “Un pezzo della ricerca si propone proprio questo- specifica Pelucchi - ovvero capire come è cambiata quell'area urbana dopo la chiusura della fabbrica, che volto ha assunto”. Un progetto complesso, che si muove in più direzioni, nel tentativo di tessere insieme fili diversi e tutti ugualmente importanti.

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Da una parte, un lavoro di riuso e valorizzazione degli archivi, che prende materiali diversi e li mette insieme in montaggi innovativi, per restituire una narrazione inedita. Dall’altra, la registrazione in tempo reale di testimonianze preziose che raccontandosi, raccontano.

In mezzo, il recupero di perle preziose e sconosciute come le interviste del Fondo Granelli, intitolato a un operaio (poi dirigente della Fiom) che decise di comprarsi una cinepresa e intervistare gli operai di Sesto San Giovanni. Quattrocento interviste sulla loro vita, sul lavoro, su come gli immigrati meridionali provavano a integrarsi. “La storia dell'industria milanese è tutto questo patrimonio, e ripercorrendola ci si rende conto di come alcune vicende del passato risuonino nel presente”. Per esempio a proposito degli immigrati meridionali, che non capivano il dialetto meneghino e protestavano. Ma che sembrano tanto simili a quelli di oggi, provenienti da altri sud. 

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“Per non parlare del cibo – racconta Pelucchi –. Alla Ercole Marelli, il consumo medio di vino era di un litro e mezzo a testa e si mangiavano la testa del maiale e la cassœula. Quando arrivarono, gli operai meridionali cominciarono a chiedere a gran voce la pastasciutta. L’azienda, lungimirante, si fece promotrice della dieta mediterranea”. Non solo sarebbe stato utile a ridurre il consumo di vino, ma avevano capito che conteneva un ingrediente fondamentale:  l’integrazione.

L’operazione dell’Archivio è interessante perché recupera la narrazione orale insieme a quella scritta, e prova a fare un racconto della storia “dal basso”, dalla voce di chi l’ha vissuta. Si pensi, inoltre, alle potenzialità che questi strumenti hanno anche rispetto al racconto del presente, alla sua cristallizzazione in memoria sin dal momento stesso in cui accade. 

Il prossimo appuntamento, dopo quello dedicato alla Innocenti di Lambrate, sarà il seminario sull’Alfa di Arese, il 16 di ottobre. E nel frattempo si lavora all’idea di un documentario che tenga insieme i materiali di archivio con il frutto di questi incontri. L’insieme delle storie che fanno la Storia.