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Mercoledì 31 maggio, alle ore 18, la Sala Dalì dell’Istituto Cervantes di Roma ospiterà la scrittrice spagnola Carlota Gurt Daví e l’italiana Antonella Lattanzi, in un incontro moderato da Maria Ida Gaeta dal titolo “Letteratura e solitudini contemporanee”. Un evento presentato come "una esplorazione del paradosso dello scrittore che si isola dal mondo per poterlo meglio raccontare, scrive in solitudine un testo che poi incontrerà le tante solitudini dei suoi lettori, diventando un luogo di incontro tra chi scrive e chi legge”.
Le protagoniste dell’incontro sono due autrici che, seppure in maniera diversa, hanno affrontato questo tema nei loro due ultimi volumi pubblicati. Carlota Gurt Daví, nata a Barcellona, anche traduttrice e già vincitrice nel 2019 del premio “Mercè Rodoreda” con il volume di racconti “Cavalcando tutta la notte”, è ora autrice di Sola, il suo primo romanzo, vero e proprio caso editoriale in Spagna, ora disponibile in edizione italiana grazie alla traduzione di Paola Olivetto e Massimo Longo per l’editore Round Robin (pp. 300, euro 16).
La storia è quella di Mei, una donna che ha superato la soglia dei quarant’anni, in crisi non soltanto nel mondo del lavoro ma anche all’interno di un rapporto matrimoniale che la fa sentire intrappolata. Mei decide così di rifugiarsi nella piccola casa d’infanzia dove è cresciuta, in mezzo al bosco, lontano da tutto e tutti, cercando di riuscire a scrivere quel romanzo che ormai da anni la perseguita, e di affrontare in questo modo non soltanto il suo passato, ma un presente difficile e un futuro che di futuro sembra avere ben poco. Da qui una solitudine vissuta e descritta in uno stile del tutto personale, scandita dal conto alla rovescia dello scorrere del tempo, che diventa però anche la cronaca di una ribellione individuale che prova a interpretare il senso di questa stessa solitudine, benedizione e condanna, confondendo realtà oggettiva e stati d’animo.
Quella di Antonella Lattanzi è invece una solitudine diversa, che arriva da un dramma interiore narrato in Cose che non si raccontano (Einaudi Supercoralli, pp. 216, euro 19) attraverso una scrittura che non risparmia nulla al lettore, coinvolgendolo senza ritorno nei momenti più crudi di quanto vissuto in prima persona, la ricerca di una complessa maternità che avvolge un’intera esistenza. Per questo abbiamo pensato di contattarla direttamente per descrivere le pagine di questo libro, per capire quando nasce l’idea di dargli forma.
“Quando sono uscita da un ennesimo ospedale, ho pensato che non era facile trovare un senso nella vita in quel momento per tutto quello che avevo vissuto, per tutto quello che avevo perso. Non sapevo come recuperare, come ritrovare un senso. Così sono andata al mare, nel mese di giugno. Pensi di distrarti ma non ti distrai, non fai il bagno perché l’acqua è ancora fredda, non riesci a leggere, non riesci a fare nulla”. Da qui le prime avvisaglie di una nuova scrittura. “Sì. Sono cominciate a uscire delle frasi in testa, e mi sono resa conto che era già da un po’ che accadeva questa cosa, e da qui è iniziato un percorso vissuto, con delle frasi in mente che mi distaccavano da quanto accadeva, creando una sorta di schermo, come se ciò che mi stava accadendo non stesse succedendo a me”.
Trasformare tutto questo in romanzo non è comunque cosa semplice. “No, anche perché quando inizio a scrivere è perché ho un’idea da tirare fuori, e un romanzo è sempre una scommessa, non sai mai se arrivi alla fine, ma avevo solo quello in testa, l’incredibile ma anche il semplice, una cosa mia che diviene una cosa di tutti. Avevo poi molta paura di scrivere un diario, un memoir, trasformando la scrittura in un secchio dove buttare dentro tutto. Più difficile riuscire a trasformare questo tutto in un romanzo. Spero di averlo fatto”.
Dalla risposta che sta avendo dal pubblico dei lettori sembra proprio di sì. “Ecco, spesso mi chiedono se scrivere quanto accaduto mi abbia aiutato. Direi di no, perché la scrittura è controllo, non ti lasci andare. E poi non ho scritto per sfogarmi. Non c’è catarsi, perché come diceva il Grillo parlante a Pinocchio, c’è un fardello che devi comunque portare con te. Io volevo raccontare una storia, e quello che mi ha realmente confortato, l’abbraccio costante che ricevo è quello dei lettori, che mi scrivono ringraziandomi, perché questo libro racconta cose di cui tanti di loro vorrebbero parlare, senza trovare la forza di farlo”.
Mercoledì 31, ore 18, Istituto Cervantes di Roma. Un appuntamento da non perdere.