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La scuola fascista (Ombre Corte, pp. 199, euro 18) torna in libreria dopo oltre quindici anni dalla sua prima edizione per vedere se, come spiegato nella nuova prefazione da uno dei due curatori, Gianluca Gabrielli (Davide Montino è venuto a mancare nell’arco di tempo che separa le due pubblicazioni), “oggi come allora nell’approccio manualistico alla storia della scuola fascista rimangono in campo due atteggiamenti che, seppur attenuati rispetto a un tempo, polarizzano le valutazioni e le interpretazioni degli studiosi”.
I due atteggiamenti in questione sono rispettivamente quello riguardante la struttura e gli esiti della Riforma Gentile, da molti ritenuta “liberale” e dunque “moderatrice” e per certi versi “riparatrice” rispetto agli avventurismi muscolari e futuristi della scuola modellata dal fascismo della prima ora; l’altro è invece il suo controcanto, vale a dire l’analisi della Riforma Gentile nella prospettiva di una naturale prosecuzione, edulcorata quanto basta per essere digerita, di quella stessa impronta fascista, mantenuta poi nel tempo dell’intero ventennio, se non oltre.
Ed è proprio qui che questo studio, articolato e ben documentato, si incontra con la nostra contemporaneità, con il nostro attuale modello di scuola, comprese le ultime esternazioni del ministro Giuseppe Valditara in merito alle Linee guida che dovrebbero entrare in vigore a partire dall’anno scolastico 2026-2027. Su questi temi abbiamo rivolto qualche domanda all’autore.
Da dove nasce l’esigenza di ripubblicare questo volume?
Da una parte nasce dal fatto che questo libro, a metà tra l’indagine storiografica e l’aggiornamento per insegnanti di scuole medie e superiori, nella sua prima edizione è andato rapidamente esaurito, e in questi anni non è uscito altro materiale del genere. Per questo, e anche per questo governo, per i rivolgimenti annunciati dal ministro in particolare nei programmi di storia, insieme all’editore abbiamo pensato che tornarne a offrire una documentazione di natura scolastica sull’epoca del fascismo potesse essere utile agli insegnanti. D’altra parte l’educazione alla cittadinanza, su cui tanto insiste Valditara, significa anche fare i conti con il nostro passato.
Una sorta di aggiornamento sul passato…
In un certo senso. Nel campo degli approfondimenti storiografici non c’è stato un grosso aggiornamento in questi anni, e la scuola viene sempre lasciata in disparte rispetto all’analisi complessiva del fascismo, e il nostro gruppo di lavoro, la nostra ricerca storica, vuole invece ribadire la scuola come istituzione centrale, ora come allora, quando il fascismo ne aveva bisogno per integrare l’opera nazionale balilla. Da qui la proposta per una consapevolezza degli insegnanti su questo tema.
Come viene strutturato il libro?
Si parte da un inquadramento generale degli argomenti per poi entrare all’interno di percorsi didattici. Alcuni voci, di questo che possiamo definire un dizionario della scuola fascista, sono archivistiche, derivanti da collezioni personali degli stessi studenti di una volta, o dai loro parenti, nonni, bisnonni o da insegnanti, oltre anche ad archivi scolastici, biblioteche, e altre fonti ancora. Sono voci che chiamano in causa varie discipline, compresa la matematica che, quasi incredibile a credersi, veniva spiegata e utilizzata anch’essa come materia di propaganda. In effetti, se andiamo a vedere i libri di testo degli anni Trenta, riscontriamo anche lì evidenti torsioni ideologiche, come naturalmente nei libri unici della scuola elementare, trasmissioni di propaganda, da considerare come fonti del passato, ma da aprire oggi in classe quale fonte laboratoriale, per spiegare il fascismo anche attraverso le torsioni ideologiche perpetrate all’epoca nel mondo della scuola.
Un’attività per certi versi rischiosa… Non potrebbe rivelarsi un boomerang?
Se parliamo del rischio di una fascinazione verso gli estremismi, rischio molto concreto oggi, che sta crescendo in Italia e in Europa, sono d’accordo. Ma credo anche che la scuola sia ancora l’unico spazio dove poter studiare e conoscere oggettivamente alcuni argomenti. La televisione e i social non sono strumenti utilizzabili in questo senso, a parte Rai Scuola non vedo più programmi dedicati alla conoscenza. L’unico spazio rimasto è la scuola, dove il passato può essere ancora approfondito e conosciuto senza indicazioni immediate, senza essere trasformato subito in propaganda, come accade. La scuola è uno spazio ancora equilibrato, l’unico luogo dove comprendere il fascismo in termini di esclusione, gerarchia, razzismo.
Dunque meglio insistere?
Dopo aver letto l’ultimo libro del duo Loredana Perla ed Ernesto Galli Della Loggia, “Insegnare l’Italia”, dove si invita a comprendere il tempo presente a colpi di libri come “Cuore” e “Pinocchio”, o con le favole sul Risorgimento da far leggere in seconda elementare, credo proprio che proporre un diverso modello didattico sia prioritario. Chi scrive di scuola in questo modo dà l’impressione di non conoscere affatto la scuola, soprattutto di non avere idea dei bambini e bambine che la frequentano oggi, e il tentativo di forzare ideologicamente il tutto è forte ed evidente. Non credo che studiare la scuola fascista abbia a che fare con quello che vogliono fare adesso.
Cosa vogliono fare?
La riproposizione del buon italiano medio: meglio italiani inconsapevoli, a cui nascondere i momenti più bui della nostra storia, sostituendoli con gli eroi del Risorgimento e quelli dell’antica Roma. Si governano più facilmente.