"Fare un film che parla di lavoro, oggi, è quasi una via obbligata". Per Massimiliano De Serio, che firma le sue pellicole insieme al fratello gemello Gianluca, il cinema non può prescindere dal tema del lavoro. "Un'arte popolare" secondo il regista, in cui questo argomento ricorre continuamente, sin dall'invenzione del cinematografo.
Parlare di lavoro, significa anche parlare del lavoro che non c'è, o che c'è ma è poco, sottopagato, non garantito e fonte di sfruttamento. Significa parlare dei nuovi schiavi, spesso scelti dai fratelli De Serio come protagonisti delle loro pellicole. In "Spaccapietre", cronaca e finzione si mescolano e l'eco della vicenda di Paola Clemente, morta di fatica nei campi pugliesi, apre la strada a una riflessione profonda sul caporalato e sugli infortuni sul lavoro.
Allo stesso modo, otto anni fa, il loro lungometraggio di esordio "Sette opere di misericordia" aveva per protagonista una clandestina rumena costretta dai suoi aguzzini a rubare nella periferia torinese. Ed è proprio Torino, con i sobborghi che crescono intorno, l'altra protagonista del cinema dei due gemelli, che in questa città sono nati e cresciuti. Identità smembrate o da ricostruire, ma soprattutto identità collettive, di cui andare alla ricerca.
Perché, come sottolinea Massimiliano De Serio, forse proprio questo sarà uno dei compiti del cinema ai tempi della pandemia: ripartire dal noi, invece che dal sè. Prendersi cura della comunità a cui si appartiene e verso la quale si è responsabili. Questa è tra le lezioni più importanti che, secondo il regista, il lockdown ci ha impartito.
(Testimonianza raccolta da Cristina Renda, Job Film Days)