Si conclude la Festa del Cinema di Roma, giunta alla diciannovesima edizione e, come da tradizione, diffusa in alcuni luoghi e realtà culturali della capitale, ma con il suo centro nevralgico all’Auditorium Parco della Musica, dove ogni anno a ottobre si srotola uno dei red carpet più lunghi del mondo.

Une festa sì, ma che quest’anno è apparsa particolarmente sottotono. D’altronde c’è da dire che, nonostante abbia ormai compiuto la maggiore età, l’appuntamento romano con il cinema internazionale non è mai veramente cresciuto. Nato con l’idea di dotare anche la capitale di un suo festival, dapprima non una vera e propria competizione (all’origine c’era solo il premio del pubblico), ha poi alternato negli anni una serie di altri riconoscimenti, dalla miglior opera prima al premio Tognazzi (per la commedia), i premi speciali della giuria e via di seguito.

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Quello che, però, sembra ancora mancare a questa kermesse cinematografica è un’identità ben precisa: è il cinema dei titoli mainstream che sbancano al botteghino o quello dei piccoli film ma con un grande potenziale? Altri festival di lungo e solido corso, da Venezia a Berlino passando per Cannes, hanno saputo negli anni affiancare alle passerelle delle star anche un parallelo percorso verso il cinema “impegnato”, per usare un aggettivo sintetico ma immediatamente comprensibile.

Il cinema degli autori e dei registi attenti alle tematiche sociali, ai diritti civili, al lavoro. Proprio un simile approccio sembra il grande assente di questa edizione 2024, nello specifico, ma più in generale della Festa di Roma, se si escludono fenomeni sporadici come il successo di C’è ancora domani, targato 2023.

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Rare le eccezioni, come il film di apertura del festival, Berlinguer – La grande ambizione, con Elio Germano diretto da Andrea Segre. Il vero dato positivo sono stati, invece, i titoli al femminile. Si pensi a Liliana, documentario dedicato da Ruggero Gabbai alla vita di una donna straordinaria come Liliana Segre, realizzato con il materiale d’archivio raccolto e condiviso dalla stessa protagonista.

E ancora l’esordio registico di Sonia Bergamasco, che in The Greatest approfondisce la figura di Eleonora Duse; Giulia mia cara! Giorgio di Maria Mauti, in cui Giulia Lazzarini, colonna portante del teatro italiano, rilegge il suo carteggio epistolare con Giorgio Strehler. Titoli tutti molto interessanti ma poco sentiti - almeno nel corso di questa settimana - fatta eccezione per la serie più mainstream Miss Fallaci di Miriam Leone, dedicata alla grande giornalista. Meritano una citazione anche l'iraniano Leggere Lolita a Teheran, tratto dall’omonimo romanzo di Azar Nafisi e diretto dal regista israeliano Eran Rikli, e Jazzi, storia di un’amicizia diretta da Morrisa Maltz, con protagonista Lily Gladstone.

L’appuntamento più interessante di questa settimana romana resta sempre quello con i film di Alice nella Città, sezione autonoma e parallela della Festa del cinema dedicata alle giovani generazioni. Qui i titoli si fanno più interessanti e coraggiosi, quando si tratta di indagare l’animo umano o mettere a nudo le contraddizioni della società. La disoccupazione, la guerra, i diritti, l’emancipazione. Sembra di assistere a tutto un altro festival. E forse, non sarebbe un’idea poi così bislacca.

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