PHOTO
“Scompare con Italo Calvino uno dei più grandi scrittori italiani del nostro tempo - sarà il tributo che quel Pci con il quale Italo ebbe un rapporto di amore conflittuale durato un’intera esistenza gli dedicherà attraverso le parole di Alessandro Natta - La sua straordinaria fantasia di narratore, la ricchezza umana e morale della sua opera letteraria hanno fatto di lui uno degli autori più amati da tutte le generazioni di lettori. Lo vogliamo ricordare anche per la sua costante presenza d'intervento sui temi delle libertà politiche e civili, per l’acutezza critica del suol giudizi. Italo Calvino appartiene alla generazione della Resistenza. Combattente valoroso in una formazione delle Brigate Garibaldi nella guerra di Liberazione, ha animato della coscienza dei valori di solidarietà, di giustizia sociale, di libertà, tutti i suoi scritti, fin dal primo romanzo partigiano e in innumerevoli racconti e prose del fervido periodo del dopoguerra. I comunisti italiani non dimenticano il contributo che Italo Calvino ha dato con la sua penna e il suo concreto impegno di militante alle grandi battaglie della classe operaia italiana, alla difesa della democrazia nel nostro paese (...) certi che la memoria del (...) caro scomparso rimarrà viva nella cultura italiana e universale, tra i giovani, in tutti coloro che aspirano a un mondo giusto e libero”.
Nato il 15 ottobre 1923 a Santiago de las Vegas - a Cuba - da genitori italiani, Italo Calvino cresce a Sanremo dove la famiglia si trasferisce poco dopo la sua nascita.
Raccontava lui stesso: “Della mia nascita d’oltremare conservo solo un complicato dato anagrafico (che nelle brevi note bio-bibliografiche sostituisco con quello più ‘vero': nato a Sanremo), un certo bagaglio di memorie familiari, e il nome di battesimo che mia madre, prevedendo di farmi crescere in terra straniera, volle darmi perché non scordassi la patria degli avi, e che invece in patria suonava bellicosamente nazionalista (...) Sono cresciuto in una cittadina che era piuttosto diversa dal resto dell’Italia, ai tempi in cui ero bambino: Sanremo, a quel tempo ancora popolata di vecchi inglesi, granduchi russi, gente eccentrica e cosmopolita. E la mia famiglia era piuttosto insolita sia per Sanremo sia per l’Italia d’allora: scienziati, adoratori della natura, liberi pensatori (...) Mio padre, di famiglia mazziniana repubblicana anticlericale massonica, era stato in gioventù anarchico kropotkiniano e poi socialista (...) mia madre (...) di famiglia laica, era cresciuta nella religione del dovere civile e della scienza, socialista interventista nel ’15 ma con una tenace fede pacifista”.
“La mia scelta del comunismo - dirà anni dopo in un’intervista - non fu affatto sostenuta da motivazioni ideologiche. Sentivo la necessità di partire da una ‘tabula rasa’ e perciò mi ero definito anarchico (…). Ma (…) sentivo che in quel momento quello che contava era l’azione; e i comunisti erano la forza più attiva e organizzata”.
Una forza, un Partito nel quale però, a un certo punto, Italo non si riconosce più.
Cari compagni - scriverà nell’agosto del 1957, dopo i fatti di Poznan, dopo i fatti di Budapest - devo comunicarvi la mia decisione ponderata e dolorosa di dimettermi dal Partito. Ho rinnovato la tessera del ’57 manifestando dissenso; questo dissenso non si è affatto attenuato col passare dei mesi, tanto che mi sono astenuto da ogni attività di Partito e dalla collaborazione alla sua stampa, perché ogni mio atto politico non avrebbe potuto non portare traccia del mio dissenso, e cioè costituire una nuova infrazione disciplinare dopo quelle già rimproveratemi. Insieme a molti compagni, avevo auspicato che il Partito comunista italiano si mettesse alla testa del rinnovamento internazionale del comunismo, condannando metodi di esercizio del potere rivelatisi fallimentari e antipopolari, dando slancio all’iniziativa dal basso in tutti i campi, gettando le basi per una nuova unità di tutti i lavoratori, e in questo fervore creativo ritrovasse il vigore rivoluzionario e il mordente sulle masse. Sono stato tra chi sosteneva che solo uno slancio morale impetuoso e univoco potesse fare del 1956 veramente l’anno del "rinnovamento e rafforzamento" del Partito, in un momento in cui dalle più diverse parti del mondo comunista ci venivano appelli al coraggio e alla chiarezza. Invece la via seguita dal Pci, nella preparazione e in seguito all’VIII Congresso, attenuando i propositi rinnovatori in un sostanziale conservatorismo, ponendo l’accento sulla lotta contro i cosiddetti "revisionisti" anziché su quella contro i dogmatici, m’è apparsa (soprattutto da parte dei nostri dirigenti più giovani e nei quali riponevamo più speranze) come la rinuncia ad una grande occasione storica. (…) Sono consapevole di quanto il Partito ha contato nella mia vita: vi sono entrato a vent’anni, nel cuore della lotta armata di liberazione; ho vissuto come comunista gran parte della mia formazione culturale e letteraria; sono diventato scrittore sulle colonne della stampa di Partito; ho avuto modo di conoscere la vita del Partito a tutti i livelli, dalla base al vertice, sia pure con una partecipazione discontinua e talora con riserve e polemiche, ma sempre traendone preziose esperienze morali e umane; ho vissuto sempre (e non solo dal XX Congresso) la pena di chi soffre gli errori del proprio campo, ma avendo costantemente fiducia nella storia; non ho mai creduto (neanche nel primo zelo del neofita) che la letteratura fosse quella triste cosa che molti nel Partito predicavano, e proprio la povertà della letteratura ufficiale del comunismo m’è stata di sprone a cercar di dare al mio lavoro di scrittore il segno della felicità creativa; credo d’esser sempre riuscito ad essere, dentro il Partito, un uomo libero. Che questo mio atteggiamento non subirà mutamenti fuori dal Partito, può esser garantito dai compagni che meglio mi conoscono, e sanno quanto io tenga a esser fedele a me stesso, e privo di animosità e di rancori. Vorrei che, considerata la ponderatezza di queste mie dimissioni, mi si evitassero i colloqui previsti dallo Statuto, che non farebbero che incrinare la serenità di questo commiato. (…) Vorrei rivolgere un saluto ai compagni che nei loro settori di lavoro lottano per affermare giusti principi, e anche a quelli più lontani dalle mie posizioni che rispetto come combattenti anziani e valorosi e al cui rispetto, nonostante le opinioni diverse, tengo immensamente; e a tutti i compagni lavoratori, alla parte migliore del popolo italiano, dei quali continuerò a considerarmi il compagno.