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Simone Massi è uno degli animatori più interessanti del panorama italiano e internazionale. Pioniere della tecnica del “passo a uno”, ne ha fatto negli anni una sua cifra stilistica capace di emozionare con un tratto, di affidare alle immagini una forte carica emotiva. Invelle è il suo primo lungometraggio. Presentato un anno fa alla Mostra del Cinema di Venezia, continua a girare il paese, per condividere un racconto in cui sono i bambini a parlare, per raccontare la storia italiana. E per ricordarci come si fa a vedere il mondo, tra gioie e sofferenze, con i loro occhi.
Massi, dietro le storie che si raccontano, c'è sempre una storia. Qual è la sua? Qual è quella di Invelle, la scintilla che l'ha ispirata per questo racconto?
La mia è la storia di un bambino che amava disegnare, guardare il mondo e ascoltare le storie dei grandi. Nel momento in cui sono riuscito a far diventare la passione per il disegno un mestiere ho cominciato a mia volta a raccontare. Invelle nasce inizialmente come racconto autobiografico, con al centro la figura di mia nonna, Zelinda. Poi, nella lunga gestazione che ha caratterizzato il film, sono entrate molte altre cose, storie di altre persone, invenzioni, sognerie.
Invelle vuol dire in nessun luogo e dunque, forse, in tutti i luoghi. Quello che – almeno personalmente - colpisce nel guardare il film, è la sensazione di essere pian piano "risucchiati" dal racconto e dalle immagini. Ognuno guardandolo ci trova dentro un pezzo della propria storia familiare.
È una considerazione che mi fa enormemente piacere. Non è per niente semplice riuscire a far specchiare le persone nella propria storia, far diventare collettiva la memoria personale.
Quanto è stato complicato - o viceversa, semplice - affidare la narrazione principale a tre bambini, e dunque assumerne il punto di vista?
Non troppo complicato, a dir la verità. Probabilmente perché da molti anni sto in mezzo ai bambini (gioco, parlo, ascolto) e mi pare di conoscerli bene. Al punto che spesso mi ritrovo a pensare come loro, a guardare il mondo con occhi di bambino.
Nel film c'è il tema della guerra. Ma c'è anche quello dell'istruzione, spesso negata nei decenni passati, e però tutt'ora tema cruciale. Ci sono ancora Paesi al mondo dove le bambine non possono andare a scuola.
Credo che il tema della guerra e quello dell'istruzione siano in qualche modo legati, nel senso che per il potere è molto più facile sfruttare dei contadini analfabeti, mandarli a morire al fronte. In questo senso e non solo, la scuola era e rimane una conquista fondamentale, la conoscenza permette agli ultimi di emanciparsi, di non togliersi più il cappello di fronte al padrone, porta a una lunga stagione di lotte e di conquiste sociali. L'esercizio della memoria, conoscere la storia del '900 sono, dal mio punto di vista, indispensabili per ogni passo da compiere, per ogni azione presente e futura.
Un altro aspetto interessante è quello di come evolve la genitorialità nel tempo. Il padre a cui dà voce Filippo Timi nel 1978 vuole che il figlio si emancipi attraverso l'istruzione, e ha con lui un rapporto affettivo che fatichiamo a riconoscere nelle altre due storie, 1918 e 1940.
Indubbiamente. L'istruzione e la conoscenza, fra le altre cose, hanno permesso ai genitori di avere più tempo per pensare, per rivolgere la rabbia nella direzione giusta.
Ai personaggi danno la voce alcuni tra i più bravi attori italiani. Li ha scelti successivamente, oppure già pensava a loro mentre disegnava i personaggi?
I nomi dei doppiatori sono stati scelti in fase di sceneggiatura, cioè prima di cominciare a disegnare. Nella scelta hanno influito il timbro vocale e le caratteristiche umane perché la persona per me deve sempre venire prima del lavoro che la stessa fa. Sono stato molto contento del riscontro, di così tanti bravi attori che hanno accettato di collaborare al film. Sono altrettanto contento delle voci del popolo, i tanti doppiatori scelti fra familiari, amici e vicini di casa. In particolare i bambini, hanno fatto un lavoro eccellente.
Dopo molti corti pluripremiati, libri e animazioni per altri registi, il suo primo lungometraggio. Aspettava la storia giusta?
La storia, in realtà, c'era da tempo, ero io che non ero pronto. Il progetto di lungometraggio nasce nel momento in cui il cortometraggio non mi basta più, quando la ricerca creativa portata avanti per decenni nella forma breve è da considerarsi conclusa.
I tre bambini di Invelle fanno i conti con eventi che li portano a crescere troppo in fretta. È un film sulla guerra, ma anche sulla fine prematura dell'infanzia.
È anche questo, sì. È innegabile che le condizioni di vita e lo scenario in cui crescono i bambini incide sulla loro infanzia, sul loro diritto ad essere bambini.