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Vuoti d’aria, lampadari appesi nel nulla, pareti che non esistono più. Ancora oggi è questa Norcia, dopo la scossa che il 30 ottobre del 2016 rase al suolo intere abitazioni. A vederlo dall’alto, questo piccolo borgo incastonato nelle montagne umbre, è una specie di presepe con un grosso buco al centro. Il terremoto di otto anni fa fu fortissimo, 6.5 di magnitudo. Nei giorni precedenti, però, c'erano state altre scosse più lievi che avevano allertato la popolazione. E proprio questo allarme, unito ad altri elementi, ha fatto sì che a seguito del terremoto non ci siano stati né vittime né feriti.
LA TERRA CHE TREMA DA NORCIA AD AMATRICE
La scossa ci fu di domenica, alle 7.00 di mattina, ma non colse di sorpresa le persone all'interno delle case. Inoltre, il cambio dell'ora solare contribuì a tenere lontano dalla Basilica di San Benedetto i 300 Vigili del Fuoco, che con un'ora in più si sarebbero trovati sul tetto poi crollato. Il 24 agosto c’era già stata un’altra scossa di magnitudo 6.0, che aveva distrutto Amatrice, Accumoli, Arquata del Tronto e altri borghi tra Lazio, Umbria, Abruzzo e Marche, provocando la morte di 303 persone.
UN LUOGO DIMENTICATO
Sono passati otto anni lunghi e freddi. Oggi Norcia appare ancora come un luogo abbandonato, forse dimenticato. E così i suoi abitanti, che pure non si arrendono all’idea che ancora, dopo tutto questo tempo, la ricostruzione sia ben lontana dall’essere stata completata. Il documentario di Andrea Sbarretti è un viaggio senza filtri tra le macerie di case crollate, botteghe che non esistono più, ma soprattutto aziende agricole che con fatica provano a sopravvivere.
UN’ECONOMIA IN BILICO
La gran parte degli abitanti del luogo vive della produzione di beni alimentari, di allevamento e agricoltura, e se non sono stati feriti nel corpo, lo sono stati nell’anima. Ogni giorno fanno i conti con le difficoltà economiche che il terremoto ha generato, in un terribile effetto domino. Ciò che più colpisce, in questo viaggio virtuale che il regista fa compiere allo spettatore, è lo spirito di questi abitanti. Sarà forse che la montagna ti forgia il carattere, e il silenzio diventa un compagno di vita. Ma la rabbia non è mai il sentimento che guida le parole.
LA RESILIENZA DI CHI ASPETTA
Ci sono l’amarezza, la paura, forse anche un senso di rassegnazione. Ma c’è, soprattutto, quel filo di speranza che poi è la chiave stessa dell’esistenza umana. Anche in quest’ultimo lavoro di Andrea Sbarretti il clima rigido della montagna sembra essere l’altro grande protagonista a dividersi la scena. Lo era già nel precedente Il lento inverno, che racconta il secondo anno degli abitanti di Norcia dopo il terremoto. In entrambi i lavori, in primo piano c’è la quotidianità degli abitanti, divisi tra il ricordo della paura e la paura stessa, che diventa una costante della propria esistenza personale e lavorativa. Una quotidianità vissuta nel tentativo di proteggersi come si può, alle prese con un isolamento che non è solo geografico.
IL SILENZIO DELLA MONTAGNA
Un silenzio delle istituzioni, della società civile, del resto del paese. Vedere queste immagini, da cittadini italiani, restituisce tutto il senso della noncuranza in cui ci abituiamo a vivere, confortati dal pensiero che anche stavolta sia capitato a qualcun altro. Non a noi. Non a me. Quella distanza – tutt’altro che giusta – che ci fa vivere ignorando ciò che succede al di fuori dei nostri piccoli, fragili confini. Quel menefreghismo che consente al “non finito” di continuare a rimanere tale.