PHOTO
Gli eventi dell’Italia meridionale del XIX secolo sono coperti da una patina di senso comune, dentro la quale si scorgono pochi e rapidi strappi a inframezzare una storia che sembra svolta altrove. Anche le dinamiche dello spazio politico ne risentono e appaiono limitate all’azione di pochi attori. Attori vincolati nel tradizionalismo arcaico, privati di una propria voce politica all’interno della più ampia e «lontana» storia nazionale.
L’Ottocento è al contempo il secolo degli stati-nazione e di grandi rivolgimenti sociali, culminati in Italia nel Risorgimento. Da qui l’idea di nazione ha prima acquisito la centralità coltivata dall’originario spirito patriottico della Rivoluzione francese per farsi, poi, nazionalismo nel significato di ideologia nazionale dello Stato. Questo sviluppo del senso di nazione ha da subito compresso, senza risolverle, le molteplici singolarità e le contraddizioni politiche presenti nella penisola. Non a caso Antonio Gramsci evidenzia come nel periodo risorgimentale le crisi politiche si muovano da Sud ripercuotendosi nel resto d’Italia. Nella debolezza periferica del Mezzogiorno trovano sede le coordinate che delineano le stesse debolezze e la conflittualità dell’idea di nazione.
Questo libro ha come oggetto i principali momenti di crisi che hanno percorso l’Italia meridionale lungo il XIX secolo, privilegiando l’analisi dello spazio politico nel quale si sono formate le élites e dal quale sono stati esclusi i gruppi sociali subalterni, che nel caso meridionale corrispondono perlopiù agli strati contadini. L’obiettivo è quello di esplorare quanto le continue riconfigurazioni dell’egemonia abbiano inciso sulla formazione delle idee politiche, oltre che dei sistemi di potere emersi nel sud d’Italia prima e dopo l’Unità.
Il percorso storico incrocia le vicende della formazione dello Stato unitario attraverso il filtro delle categorie dei Quaderni di Gramsci. Queste a partire dagli anni Cinquanta del Novecento hanno avuto un ruolo centrale per lo studio del Risorgimento e della questione meridionale, per poi essere in parte schiacciate dalla polemica e dalla contingenza politica. Mentre le tematiche gramsciane relative alla formazione nazionale in Italia erano colpite da una parziale cristallizzazione, a partire dalla metà degli anni Settanta hanno conosciuto una diffusione mondiale grazie alla loro traduzione inglese. I temi gramsciani sono così entrati nel più ampio discorso riguardante i sud del mondo e il postcolonialismo, divenendo teoricamente centrali anche se attraverso contraddizioni e incomprensioni. Queste diverse interpretazioni di Gramsci hanno però saputo imprimere stimoli che ne hanno rinnovato ed esteso il raggio di comprensione. Saranno così intrecciate vecchie e nuove letture, mostrando come anche nel campo di studi qui trattati gli attrezzi dell’officina gramsciana siano tutt’altro che esauriti.
Con questi strumenti è possibile ampliare lo sguardo sulla società meridionale per fare luce sui coni d’ombra lasciati dalle prospettive tradizionali. Il Risorgimento ha rappresentato un momento di cesura, piuttosto che un incrocio di diverse linee storiche. Si è alimentata così una lettura della storia meridionale della prima metà dell’Ottocento tutta in funzione risorgimentale, mettendo in secondo piano i momenti di rottura. Questa cesura non risolta ha alimentato la ricerca di precarie specificità storiche, che unite all’aumento nel dibattito politico italiano di istanze identitarie hanno contribuito, nell’ultimo trentennio, all’ascesa dei gruppi neoborbonici. La crescente visibilità di queste correnti – più politiche che storiche – ha consentito l’espansione di elementi rivendicazionisti, larvati di nazionalismo borbonico, che hanno finito con il radicalizzare il dibattito intorno alle questioni meridionali. Di contro, si sono avuti accenni a una storiografia tendente a ridurre l’importanza delle pagine più controverse del Risorgimento. È così calata una cappa di diffidenza verso gli studi più innovativi o critici rispetto alla tradizionale storiografia risorgimentale, gravandoli dell’etichetta revisionista.
Questo intreccio di storia e politica ha portato a una ridefinizione dei sentieri di ricerca riguardo al concetto di nazione, ponendo l’attenzione su nuove tematiche riguardanti l’identità e l’alterità: è proprio da concetti come questi che i Postcolonial studies hanno avuto risonanza in Italia, trovando nel campo degli studi sul Mezzogiorno un ulteriore canale di diffusione oltre quello più diretto della storia del colonialismo italiano. L’incontro con il postcolonialismo si è così concretizzato all’interno del più grande discorso riguardante il «Sud globale», ponendo un collegamento tra i più tradizionali studi riguardanti il Mezzogiorno e i temi di analisi legati al colonialismo. Da qui si è avuta un’importante espansione delle analisi sulla società meridionale, tese a illuminare le caratteristiche sociali delle classi subalterne meridionali e delle loro produzioni culturali. Da questa scia si sono sviluppati così nuovi studi, dalla freschezza internazionale e volti a delineare il ruolo storico-culturale avuto dalle costruzioni discorsive dell’alterità meridionale e del razzismo antimeridionale.
Le tematiche postcoloniali hanno però alimentato alcune criticità dovute a un impreciso uso dell’apparato analitico della storia dei colonialismi, nel quale la storia del Mezzogiorno viene incastrata in prospettive a volte fuorvianti. L’esempio principale è l’assimilazione della formazione dello stato-nazione all’interno del discorso colonialista, nel quale vengono ridimensionati l’insieme degli elementi di crisi strutturale del Regno delle Due Sicilie o il ruolo delle locali classi dominanti, sottostimando la continuità tra apparati di sfruttamento e repressione prima e dopo l’Unità.