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Questo libro parte da lontano, ed è arrivato doveva voleva giungere. Si tratta infatti di una raccolta antologica dal titolo Il pane e le rose (Edizioni Alegre, pp. 136, euro 10), che contiene racconti che hanno partecipato alle prime due edizioni dell’omonimo premio letterario, ideato e sostenuto in primis dai bibliotecari di Montelupo Fiorentino, comune toscano legato in questi anni alle battaglie della Gkn, come ricorda nella sua prefazione Alberto Prunetti, anima incandescente della letteratura working class in Italia: “Il Festival di letteratura working class e il premio Il pane e le rose sono legati tra di loro, fanno parte di una stessa storia. Questa antologia dialoga apertamente con la lotta degli operai della Gkn per svariati motivi”.
E tra i motivi indicati da Prunetti c’è anche il sodalizio con un’altra realtà nata in questi anni, il Collettivo di fabbrica di Campi Bisenzio, dato che in queste due prime edizioni tra gli autori premiati c’è un operaio della Gkn e un attivista dello stesso Collettivo; ma questo accade non per la ben nota consuetudine diffusa negli ambienti letterari nostrani, in virtù della quale troppo spesso “ci si premia tra noi”, perché ci conosce.
Al contrario, Il pane e le rose si mostra come un progetto che “fa parte della convergenza culturale, ossia dell’incontro attivo di operai e lavoratori del sapere, e lo stiamo facendo da anni; perché è finita l’era del progressismo dei colti, degli intellettuali che hanno ereditato il capitale culturale e che fanno l’atto di elargirne caritatevolmente una parte ai cari subalterni, portando – come si diceva un tempo – la cultura al popolo e agli operai. Adesso le cose si fanno assieme o non si fanno”, scrive Prunetti. Le differenze con altri riconoscimenti di ambito letterario non potrebbero essere più diverse.
Oltre agli otto racconti che compongono la raccolta, prima della corposa appendice altri due interventi narrativi, uno di Dario Salvetti (portavoce del Collettivo ex Gkn), l’altro di Simona Baldanzi (scrittrice e sindacalista in Cgil Prato), completano questa ricca antologia che, nel suo insieme, offre al lettore uno sguardo unico del mondo del lavoro.
“Siamo partiti proprio dalla vertenza Gkn, compresa la casa editrice Alegre, per una convergenza non solo culturale ma di forze, di esperienza sino ad allora frammentate che si sono finalmente unite”, ci dice la stessa Simona Baldanzi, presidente dell’ultima edizione del premio, che ribadisce come da questi e dal Festival sia scaturito “il materiale per raccontare il lavoro in maniera diversa, attraverso la scrittura diretta dei protagonisti, di chi vive determinate condizioni. D’altronde, quella della Gkn è una vertenza che dura da molto, e paradossalmente è stata questa situazione temporale a determinare prima l’avvento del Festival, poi del premio, uniti in questo libro che contiene non solo i racconti dei vincitori delle due edizioni, la prima presieduta da Alberto Prunetti. Ed è stato naturale farne una raccolta, prendendo spunto dalla vertenza”.
Anche lo scritto di Simona Baldanzi prende spunto da una vicenda reale, quella dei sei operai intossicati nello stabilimento siderurgico Lucchini nel luglio del 2009: “Sì, ed era già uscito qualche anno fa su un quotidiano che aveva lanciato la sfida di far partire la narrazione da un fatto di cronaca. La mia idea è stata quella di riprendere le voci protagoniste scarnificandole dal commento attraverso il dialogo, e rendere trasparente la vicenda come fosse una provocazione, nel senso che si parla sempre di morti sul lavoro e di grandi tragedie soltanto dopo”.
Viene da chiedere come mai riproporre un testo simile proprio ora, e la risposta dell’autrice richiama la più stringente attualità. “In questo anno così atroce, durante il quale le morti sul lavoro sono state così numerose, e mostruose – sono le sue parole – lo abbiamo voluto ripubblicare perché ci sembrava un’ottima provocazione rilanciarlo ora, in un periodo tremendo anche per la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro”.
La storia si potrebbe però definire a lieto fine, dato che gli operai coinvolti, come accaduto nella realtà, non hanno subìto gravi conseguenze: “Sì, ma il mancato infortunio racconta tantissimo in questo senso, perché anche la narrativa può funzionare se di qualcosa se ne parla prima, se riesci ad anticipare la realtà riportando una quotidianità che sembra non accada, un po’ come nei racconti di guerra, quando si fa il pane appena prima dei bombardamenti, o si litiga per una sciocchezza mentre si sta per scatenare l’inferno. Sono tutti elementi che ti riportano alla quotidianità, e se racconti, se proteggi la quotidianità proteggi la persona in sé”.
Non a caso, il titolo scelto per la scorsa edizione del Festival di letteratura working class è una frase recuperata da Mark Fisher: “Non siamo qui per intrattenervi”. Perché l’intenzione del premio, e dei racconti de Il pane e le rose, non è di fare letteratura per intrattenere, ma per dare conto, dal profondo vero, dello stato dell’arte.