PHOTO
In tanti sosterranno che la morte di Pier Paolo Pasolini, avvenuta nella notte tra l'1 e il 2 novembre 1975, fosse un modo per mettere tacere un pensatore scomodo. Un intellettuale scomodo. Un uomo scomodo, nella definizione di Oriana Fallaci.
Soltanto per i suoi film Pasolini sarà denunciato 33 volte (Mamma Roma, La Ricotta, I Racconti di Canterbury, il Decameron, Salò, Le 120 giornate di Sodoma saranno accusati di offesa al comune senso del pudore, oltraggio alla religione e vilipendio, censurati e sequestrati. “L’accusa era quella di vilipendio alla religione - scriverà Alberto Moravia - Molto più giusto sarebbe stato incolpare il regista di aver vilipeso i valori della piccola e media borghesia italiana”).
Il 26 ottobre del 1949 lo scrittore viene espulso dalla Federazione comunista di Pordenone per indegnità morale e politica: “La federazione del Pci di Pordenone - si legge su l’Unità - ha deliberato in data 26 ottobre l’espulsione dal partito del dott. Pier Paolo Pasolini di Casarsa per indegnità morale. Prendiamo spunto dai fatti che hanno determinato un grave provvedimento disciplinare a carico del poeta Pasolini per denunciare ancora una volta le deleterie influenze di certe correnti ideologiche e filosofiche dei vari Gide, Sartre e di altrettanto decadenti poeti e letterati, che si vogliono atteggiare a progressisti, ma che in realtà raccolgono i più deleteri aspetti della degenerazione borghese”.
La Roma di Pasolini
“La mia vita futura non sarà certo quella di un professore universitario - scrive in una lettera inviata il 10 febbraio 1950 a Silvana Mauri - ormai su di me c’è il segno di Rimbaud o di Campana o anche di Wilde, ch’io lo voglia o no, che gli altri lo accettino o no”.
Decide quindi di lasciare il Friuli e si trasferisce con la madre a Roma. Sono gli anni in cui scopre le borgate. Pubblica La meglio gioventù, Ragazzi di vita, realizza i suoi primi film da regista e soggettista.
Il 7 luglio 1960 a Reggio Emilia la polizia spara nuovamente contro i dimostranti e cinque persone rimangono a terra uccise. A breve distanza di tempo, la rivista Vie Nuove pubblica un disco con la registrazione sonora degli scontri.
Si ascoltano i colpi dei lacrimogeni e delle pistole, le raffiche dei mitragliatori, le sirene della Celere e delle ambulanze. Dell’episodio dirà Pier Paolo Pasolini: “Spero che nessun registratore serva mai più a stampare dischi come questo. Che è il più terribile - e anche profondamente bello - che abbia mai sentito” (dalla rubrica Dialoghi con Pasolini, Vie Nuove a. XV, n. 33, 20 agosto 1960).
Il rapporto con la Sinistra
A partire dagli anni Sessanta Pasolini sarà anche autore di canzoni, cercando un collegamento tra la poesia e la canzone d’autore. Collaborerà, tra gli altri, con Gabriella Ferri, Sergio Endrigo, Domenico Modugno.
“Chi conosceva appena il tuo colore - scrive profeticamente nel 1961 - bandiera rossa, sta per non conoscerti più, neanche coi sensi: tu che già vanti tante glorie borghesi e operaie, ridiventa straccio, e il più povero ti sventoli”.
Negli anni della contestazione studentesca lo scrittore assume una posizione originale rispetto al resto della cultura di sinistra.
“Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte coi poliziotti - scrive provocatoriamente - io simpatizzavo coi poliziotti! Perché i poliziotti sono figli di poveri (…) I ragazzi poliziotti che voi per sacro teppismo di eletta tradizione risorgimentale di figli di papà, avete bastonato, appartengono all’altra classe sociale. A Valle Giulia, ieri, si è così avuto un frammento di lotta di classe: e voi, amici (benché dalla parte della ragione) eravate i ricchi, mentre i poliziotti (che erano dalla parte del torto) erano i poveri!”.
Nel 1972 decide di collaborare con i giovani di Lotta Continua e insieme ad alcuni di loro firma il documentario 12 dicembre, sulla strage di piazza Fontana a Milano. Nel 1973 comincia la collaborazione al Corriere della Sera.
Sulle pagine del giornale, sei mesi dopo la strage di Brescia, pubblica nel novembre del 1974 un corsivo dirompente: “Io so - scrive - i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato 'golpe' (e che in realtà è una serie di 'golpe' istituitasi a sistema di protezione del potere). Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969. Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi del 1974. Io so i nomi del 'vertice' che ha manovrato, dunque, sia i vecchi fascisti ideatori di 'golpe', sia i neo-fascisti autori materiali delle prime stragi, sia infine, gli 'ignoti' autori materiali delle stragi più recenti”.
La morte di Pasolini
Nel 1975 pubblica Scritti corsari. Il 2 novembre di quello stesso anno viene ucciso.
“Quando il suo corpo venne ritrovato - riferirà Ninetto Davoli - Pasolini giaceva disteso bocconi, un braccio sanguinante scostato e l’altro nascosto dal corpo. I capelli impastati di sangue gli ricadevano sulla fronte, escoriata e lacerata. La faccia deformata dal gonfiore era nera di lividi, di ferite. Livide e rosse di sangue anche le braccia, le mani. Le dita della mano sinistra fratturate e tagliate. La mascella sinistra fratturata. Il naso appiattito deviato verso destra. Le orecchie tagliate a metà, e quella sinistra divelta, strappata via. Ferite sulle spalle, sul torace, sui lombi, con il segni degli pneumatici della sua macchina sotto cui era stato schiacciato. Un’orribile lacerazione tra il collo e la nuca. Dieci costole fratturate, fratturato lo sterno. Il fegato lacerato in due punti. Il cuore scoppiato”.
“La sua fine - dirà Alberto Moravia - è stata al tempo stesso simile alla sua opera e dissimile da lui. Simile perché egli ne aveva già descritto, nella sua opera, le modalità squallide e atroci, dissimile perché egli non era uno dei suoi personaggi, bensì una figura centrale della nostra cultura, un poeta che aveva segnato un'epoca, un regista geniale, un saggista inesauribile”.
“Dicono che tu fossi capace d’essere allegro - scriverà pochi giorni dopo la sua morte Oriana Fallaci - chiassoso, e che per questo ti piacesse la compagnia della gioventù: giocare a calcio, per esempio, con i ragazzi delle borgate. Ma io non ti ho mai visto così. La malinconia te la portavi addosso come un profumo e la tragedia era l’unica situazione umana che tu capissi veramente (…) Ogni volta io avrei voluto agguantarti per il giubbotto, trattenerti, implorarti, ripeterti ciò che ti avevo detto a New York: 'Ti farai tagliare la gola, Pier Paolo!'. Avrei voluto gridarti che non ne avevi il diritto perché la tua vita non apparteneva a te e basta, alla tua sete di salvezza e basta. Apparteneva teneva a tutti noi. E noi ne avevamo bisogno. Non esisteva nessun altro in Italia capace di svelare la verità come la svelavi tu, capace di farci pensare come ci facevi pensare tu, di educarci alla coscienza civile come ci educavi tu”.