Chiunque si occupi di cinema e lavoro non può ignorare il progetto epocale di Wang Bing, regista cinese e tra i maggiori documentaristi viventi, che proprio al Festival di Venezia trova il suo compimento. È una trilogia sul lavoro: per cinque anni, dal 2014 al 2019, Wang ha seguito gli operai e le operaie tessili del distretto di Zhili, a 150 chilometri da Shanghai, raccontando ogni singolo aspetto delle loro vite. In concorso al Lido arriva Youth (Homecoming), che si candida seriamente a premio nel verdetto atteso il 7 settembre.

Il trittico cinematografico, composto da Youth (Springs), Youth (Hard Times) e Youth (Homecoming), costruisce un viaggio lungo e profondo nel mondo dei giovani lavoratori della città di Zhili, una delle capitali della produzione tessile in Cina. I tre film documentano, con uno stile rigoroso e osservativo, la vita di giovani tra i 16 e i 25 anni provenienti dalle zone rurali attraversate dal fiume Yangtze, impegnati in un lavoro massacrante e privo di tutele.

Youth (Springs) si concentra sulla fase iniziale del loro viaggio. La primavera del titolo rappresenta un periodo di speranza e inizio per questi giovani che, malgrado le difficoltà, condividono sogni di miglioramento personale e professionale. I lavoratori vivono in dormitori spartani e trascorrono le loro giornate nelle fabbriche tessili, sperando di poter un giorno raggiungere obiettivi come avere una famiglia o avviare un’attività propria. Tutto questo lo raccontano interpellati dalla cinepresa dell’autore.

Il secondo tassello, Youth (Hard Times), porta il racconto verso un tono più drammatico. Come suggerisce il titolo dickensiano (Tempi difficili), qui le vite individuali e collettive si intrecciano, mostrando come le sfide quotidiane diventino sempre più dure. Gli incidenti sul lavoro, le ingiustizie e la precarietà economica rendono la vita ancora più difficile. Ma non solo: gli uomini e le donne sono costretti ad affrontare episodi criminali come la scomparsa di un capo con i soldi, oppure le rivolte scoppiata nel 2011 a Zhili, a cui segue una dura repressione poliziesca. Insomma, è il film che più restituisce l’instabilità e la sofferenza della comunità tessile.

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Arrivando al titolo in concorso a Venezia, Youth (Homecoming) riprende il ritorno a casa per le vacanze di Capodanno. I laboratori si svuotano, e i pochi rimasti attendono con ansia lo stipendio per poter viaggiare verso le loro città di provenienza, dove li aspettano le famiglie e i rituali tradizionale. Uno spazio temporale che è anche occasione di cambiamento e transizione, con alcuni lavoratori che prendono decisioni importanti, come il matrimonio o il ritorno al lavoro. L’opera di Wang Bing racconta l’occupazione, certo, ma esplora anche le relazioni personali, i sogni e le ambizioni, insomma porta davanti agli occhi tante vite invisibili. Il progetto Youth, insomma, è fondamentale per mostrare cos’è oggi il turbo-capitalismo entrando nel suo ventre, la Cina, dove non esiste alcun diritto; e allo stesso tempo per capire che dietro di esso ci sono giovani uomini e donne, non numeri ma fatti di carne.

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“In Cina la maggior parte dei giovani lavora duramente per mantenersi – così Wang Bing introducendo il film –  Gli stipendi sono molto bassi, le giornate infinite e non c’è quasi tempo di riposare. La società cinese ha ridotto la loro vita quotidiana a lavoro. Guadagnare denaro è diventato l’unica ambizione”. E il cinema è l’unico mezzo per metterlo in dubbio.