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Gianni Toti diventa direttore di “Lavoro” nel 1952, quando non ha ancora compiuto trenta anni, ma la sua attività giornalistica è iniziata da tempo, subito dopo la liberazione di Roma nella tarda primavera del 1944, alla quale Toti contribuisce da gappista restando ferito alla gamba in uno scontro con i militari tedeschi che gli costa una lunga degenza ma lo salva dalla fucilazione.
La vocazione alla scrittura di Gianni Toti
Al giornalismo Toti arriva per la sua vocazione alla scrittura, che lo porta a registrare per iscritto ogni incontro o cosa gli capiti, soprattutto le persone con cui conversa, di cui spesso (lo testimoniano i fitti quadernini conservati nella Biblioteca Totiana dell'Associazione Gottifredo di Alatri dove il suo archivio è custodito) annota i discorsi trascrivendoli in versi sciolti, come fossero brevi componimenti poetici.
L’esordio sul settimanale dei giovani comunisti
Il primo giornale sul quale troviamo la sua firma (spesso ricorre a sigle, di facile scioglimento) è “Gioventù Nuova”, il settimanale del movimento dei giovani comunisti di cui è animatore Carlo Lizzani, suo amico fin dal liceo, e direttore Giulio Spallone. Il primo pezzo, con firma per esteso, è del 16 settembre 1944, il suo ruolo è già definito, quello di cronista dei giovani, nei cui circoli si reca cercando di spingerli alla responsabilità.
L'intenzione è annunciata tutta nel titolo della serie di pezzi riconducibili alla sua penna, “giovani, fuori dal guscio”, nei quali sperimenta quella che sarà una sorta di cifra permanente della sua scrittura, la “dialogizzazione” di quegli incontri, rapide rappresentazioni delle conversazioni tra lui e i ragazzi, che un po' intervista e un po' esorta, che confermano la sua felice tendenza a una narrazione giornalistica poco convenzionale.
All’Unità di Milano
Da “Gioventù Nuova” all'Unità di Milano, di cui diventa corrispondente e redattore, il passo è breve; avviene appena conclusa l'esperienza del Movimento giovanile, e il compito che gli viene assegnato è di seguire i problemi del lavoro e il sindacato. Un suo articolo sulla decisione degli industriali milanesi di licenziare, che inizia con un crescendo di numeri carpiti dai conciliaboli ascoltati dal giornalista durante una loro assemblea, è una conferma di quel modo anticanonico, ma efficace, di fare cronaca facendo diventare le parole grottesche protagoniste delle vicende.
L’esperienza in Sicilia, 1947-1948
L'esperienza, però, più matura del primo Toti giornalista è quella di redattore prima e poi responsabile della redazione di “La Voce della Sicilia”, il quotidiano – è scritto sotto la testata - del popolo siciliano”, che – nato da una fusione tra la “Voce comunista” e la “Voce socialista”, sotto la direzione di Girolamo Li Causi (l'uomo che con Michele Pantaleone aveva sfidato nel 1944 in un pubblico comizio don Calogero Vizzini, capo della mafia dei giardini ed era stato aggredito dai suoi “picciotti”) uscì, con l'interruzione di alcuni mesi per 268 numeri, dal febbraio del 1947 al maggio del 1948 appoggiando nelle prove elettorali di quel biennio il Fronte popolare dell'isola. Toti arriva in Sicilia il 28 febbraio del 1947, ma il suo primo articolo firmato lo leggiamo il 18 marzo, è un corsivo contro la paura del comunismo alimentata ad arte – è la sua tesi – per favorire “lo zio Harry” (il presidente americano Truman) e lo “zio Alcide” (naturalmente De Gasperi).
L'obiettivo polemico – e questa resterà una costante dei suoi articoli siciliani – sono i giornali borghesi della regione, a cominciare dal più diffuso, “Il Giornale di Sicilia”, Ma anche sulla “Voce della Sicilia” non manca un pezzo teatrale: la conversazione tra due preti, ascoltati mentre confabulano ai margini di un comizio dei partiti di sinistra, che si confidano pronti a prendere le armi pur di impedire la vittoria dell'odiato nemico. Anche questo è un piccolo “scoop”, firmato con uno pseudonimo che diventerà ricorrente (Giantito), che prova il giornalismo spigliato del giovane redattore.
Il ritorno a Milano
Toti tornerà a Milano, dopo la chiusura del giornale alla fine di maggio del 1948. La primavera siciliana è finita e il giornalista, conclusa la trasferta, riprenderà il suo lavoro all'Unità, come inviato addetto a seguire i grandi eventi sindacali. In questa veste incontrerà più volte Giuseppe Di Vittorio, una delle conoscenze decisive della sua vita.