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Lunedì 27 maggio una doppia presentazione a Roma, presso “Il Libraccio” di Via Nazionale (ore 18), per ricordare la figura di Giacomo Matteotti a pochi giorni dalla tragica ricorrenza del 10 giugno 1924, quando il deputato socialista venne sequestrato e brutalmente ucciso da un banda fascista, decretando di fatto l’inizio della dittatura, certificata il 3 gennaio del ’25 dalla responsabilità “politica e morale” assunta da Benito Mussolini davanti al Parlamento riguardo i fatti accaduti.
Oggi, a un secolo da quell’assassinio, due libri ricordano la figura di Matteotti. Futura editrice ripropone la biografia a lui dedicata da Piero Gobetti (Matteotti, pp. 85, euro 8), scritta di getto subito dopo l’omicidio, da un giovane intellettuale anch’egli colpito sotto casa nel settembre dello stesso anno dai colpi delle squadracce fasciste, in conseguenza dei quali morì poco tempo dopo, nel febbraio del 1926, esiliato a Parigi.
L’editore Rubbettino ha invece appena pubblicato La scuola di Matteotti. Un’idea di libertà: istruzione, democrazia e riscatto sociale (pp.382, euro 28), la battaglia sociale e politica portata avanti dal deputato socialista sui temi riguardanti l’istruzione popolare, contro l’analfabetismo, per favorire l’elevazione morale e intellettuale del popolo, così da formare cittadini critici e consapevoli. Abbiamo intervistato l’autore del volume, Alberto Aghemo, Presidente della Fondazione Matteotti.
Cosa significa ricordare Matteotti oggi?
Vorrei iniziare precisando che quando parliamo di Giacomo Matteotti ne condividiamo le idee e le battaglie, non soltanto il suo esser stato l’anti-Mussolini o il martire. Questo perché Matteotti è stato un politico di grande spessore e grandi capacità: economista, sindacalista, esperto di bilanci amministrativi, internazionalista in chiave pacifista, giornalista valente, che si è anche occupato di scuola e di istruzione per tutta la sua vita, attraverso intense battaglie parlamentari.
Un aspetto non molto ricordato.
E invece si tratta di un impegno importante. Basti pensare ai celebri scontri con Benedetto Croce e Giovanni Gentile, il primo definito troppo “astratto” come ministro della Pubblica istruzione, e troppo attento alle questioni estetiche ed elitarie degli studi, universitari più che elementari, in un periodo in cui la percentuale di analfabetismo nel nostro Paese era altissima. Ma è con Gentile che il cerchio si chiude, dato il suo intento reazionario che caratterizza la riforma emanata nella primavera del 1923: due anni scolastici più tardi, guarda caso, la popolazione scolastica cala del 30 per cento, e non per scelte di politica educativa sbagliate, ma perché proprio questa era la finalità programmatica di Gentile, secondo la quale l’istruzione doveva essere riservata alle élites, individuate per grado di intelligenza e censo.
Un’idea non certo democratica della scuola…
Mi sembra chiaro, e tutto questo confligge con la scuola secondo Matteotti. Lo dimostra quando nel 1919, tornato alla vita politica dopo due anni di segregazione per le sue posizioni pacifiste durante la Prima guerra mondiale, per la nuova edizione del suo giornale “La lotta” decide di utilizzare questa manchette: “Ogni scuola che si apre è la porta di un carcere che si chiude”. Questo perché Matteotti perseguiva in primo luogo un socialismo dell’umanesimo, e senza un livello minimo di conoscenza per lui non poteva esserci un miglioramento delle condizioni di vita essenziali, perché riscatto sociale e riscatto economico vanno di pari passo.
Si può interpretare come una visione della scuola che guardava al futuro?
Credo proprio di sì. Penso ad esempio a “Pane e alfabeto”, lo slogan lanciato dalle colonne di “Critica sociale” da Pietro Nenni, quando l’analfabetismo nel nostro Paese toccava il 60%, diventando in pratica il 100% nelle campagne. Ma quella di Nenni era un’idea di istruzione comunque orientata verso il lavoro, l’istruzione tecnica, mentre Matteotti qui si distacca dal socialismo riformista e propugna un’istruzione libera, poetica, critica, creativa, dal sapore montessoriano. Non dimentichiamo che Maria Montessori pubblica i suoi testi su questi temi nel 1908, dentro i quali Matteotti leggeva di una scuola come liberazione interiore, spirituale, dei giochi in libertà per la percezione del bello. Una dimensione di umanità da cui trarne poi dei cittadini.
Una scuola dello spirito, per dirla con Piero Gobetti... Che però guardava anche all’istruzione tecnica, alla formazione dello studente per avviarlo verso le professioni. Non è così anche per Matteotti?
La sua idea di scuola si accompagna a una prassi politica che prevede un coinvolgimento totale. Penso a quando nel 1904, a soli 19 anni, Matteotti spende il suo impegno e le sue risorse, anche economiche, per dar vita alla prima biblioteca del popolo a Fratta Polesine; già in quel tempo si dedica ai temi riguardanti l’edilizia scolastica, la didattica formativa, l’istruzione mirata: un esempio su tutti quello delle“lanterne magiche”, le antesignane dei proiettori. Matteotti è stato un uomo che legava l’idea di socialismo alla conquista di umanità, di una nuova umanità, attraverso la conoscenza, la promozione intellettuale, che è anche di natura morale.
Nel suo libro “La scuola di Matteotti” si sottolinea come questo interesse non si affievolisce neanche nei momenti più duri della sua battaglia politica.
Sì, è vero. Tutti ricordiamo Giacomo Matteotti per il discorso infuocato del 30 maggio riguardo il voto per le elezioni del 6 aprile 1924. Poi il 10 giugno, era un martedì, viene assassinato. Ma ancora la domenica precedente fa cercare Emidio Agostinone, un giovane socialista che scriverà un bellissimo ricordo di Matteotti, un insegnante che lo affiancava nella costruzione della documentazione di “Un anno di dominazione fascista”, l’unico libro che ha visto la luce prima della sua morte, e uno dei pochi libri antifascisti prima della Liberazione. E anche qui c’è una sezione dedicata alla scuola, e si torna alla riforma Gentile, che non dimentichiamo Mussolini approverà come “la più fascista delle riforme”. Perché la dittatura fascista parte dalla scuola, dal ventre molle del sistema, quello è l’obiettivo. Matteotti lo percepisce, e subito dopo le elezioni del 6 aprile decide di aggiornare “Un anno di dominazione fascista”. Così fa chiamare il suo amico Agostinone presso la biblioteca della Camera, per continuare il lavoro iniziato e portarlo fino in fondo.
Concludiamo da dove siamo partiti: che significato assume ricordare la figura di Giacomo Matteotti oggi?
Vorrei rispondere tornando al 10 giugno 1944, vent’anni dopo il suo omicidio. Roma è stata liberata da sei giorni, è stato appena trucidato Bruno Buozzi, e si assiste alla prima commemorazione sul Lungotevere Arnaldo da Brescia dell’omicidio Matteotti. Nel suo intervento, Pietro Nenni afferma come un completo riscatto del Paese potrà esserci soltanto il giorno in cui il Lungotevere Arnaldo da Brescia, da dove sta parlando, verrà intitolato a Giacomo Matteotti… Così arriviamo ai nostri giorni: seppur il contiguo ex ponte del littorio ora porta il nome di Matteotti, nel palazzo da dove uscì per recarsi in Parlamento e invece venne sequestrato e ucciso, ancora oggi non siamo riusciti a fissare una targa del Comune in sua memoria.
Questo ci racconta che il percorso indicato da Nenni non è ancora è arrivato a destinazione.