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Riforma sì, riforma no. Che fosse necessario un riordino organizzativo e normativo delle fondazioni lirico-sinfoniche è cosa certa. Meno lo sono i contenuti del documento a cui il ministero della Cultura sta lavorando. I rumors parlano di una riforma alla Sangiuliano in salsa TeleMeloni. Ma le organizzazioni sindacali non sono state ancora formalmente interpellate sulla questione.
Sabina Di Marco, segretaria nazionale Slc Cgil, facciamo il punto della situazione?
Ancora non c’è nulla di definito. Il 30 luglio abbiamo in programma un incontro al ministero sul rinnovo del contratto, ma ovviamente solleciteremo anche maggiori informazioni sulle ipotesi di riforma che sono trapelate dai giornali. Al momento non siamo in condizione di rispondere in maniera puntuale, perché come organizzazioni sindacali nessuno ci ha ancora convocati per discuterne. Sicuramente saranno stati consultati l’Anfols (l'Associazione nazionale fondazioni lirico-sinfoniche, ndr) e i sovrintendenti, ma non noi. Se, però, le indiscrezioni giornalistiche dovessero essere confermate, la riforma così pensata toglierebbe peso ai sovrintendenti, per valorizzare il ruolo dei consigli, sminuendo quello del sindaco e del sovrintendente stesso. Sembrerebbe una valorizzazione della collegialità. Ma non è proprio così.
Spieghiamo: al momento il sindaco svolge il ruolo di presidente della fondazione, che dirige insieme al sovrintendente, coadiuvati da un consiglio di indirizzo che ha un peso politico (due delegati del primo cittadino, uno del ministero, uno della Regione). La riforma prevede la nascita di un consiglio di amministrazione che deciderà tutto in maniera collegiale, in cui i delegati ministeriali raddoppieranno.
Se così sarà, avremo una centralizzazione e un rafforzamento dei poteri decisionali, con un ruolo assolutamente decisivo giocato dal ministero. I sovrintendenti, invece, saranno sminuiti, passando in second’ordine. Ad oggi, il ruolo del sovrintendente permetteva di individuare precisamente anche una responsabilità (pensiamo a casi di cattiva gestione). Il consiglio, avendo un ruolo consultivo, funge in qualche modo anche da organo di garanzia. Se questi ruoli si ribaltano, sarà più complesso individuare delle responsabilità cogenti, da un lato. Dall’altro, un ministero più forte potrà prendere decisioni, attribuire cariche, fare delle nomine politiche.
Una riforma delle fondazioni lirico-sinfoniche era fondamentale, i sindacati la chiedono anni. In primis per chiarire una volta per tutte l’ambiguità di questi istituti ibridi, al confine tra pubblico e privato. C’erano dunque altre priorità?
Esattamente, è questo il punto centrale. La riforma che chiedevamo con insistenza avrebbe dovuto innanzitutto mettere mano a un ibrido giuridico che crea enormi difficoltà di gestione, per esempio per quel che riguarda i rinnovi contrattuali. Ne stiamo facendo uno in questi mesi, e sono sempre delle trattative molto complicate. Il nodo principale da sciogliere è capire che cosa devono essere le fondazioni lirico-sinfoniche da un punto di vista giuridico, ovvero se siano soggetti pubblici o soggetti privati, perché questo influisce in maniera decisiva anche sulla contrattazione. Nel caso di un soggetto pubblico è la finanza pubblica che deve garantire i rinnovi contrattuali, e da lì a cascata discendono una serie di elementi legati al funzionamento dell’ente. Se sei un soggetto privato, ti devi confrontare con le leggi del mercato, devi puntare alla competitività, hai altre priorità insomma.
Ad oggi quella sul rinnovo del contratto è una partita ancora aperta?
Noi ci stiamo puntando molto. Ci siamo impegnati per trovare un accordo economico in linea con i parametri del pubblico impiego relativo al triennio 2019-2021. Abbiamo siglato un contratto nazionale dopo circa vent’anni di rinnovi mancati alla data del 30 novembre 2023. Ora vorremmo sbloccare una situazione di stallo che di fatto blocca l’attuale rinnovo del triennio 2022-24, su cui c’è una discussione aperta anche rispetto alla parte normativa. Il 30 luglio, come dicevo, faremo questo incontro al ministero. Nel frattempo lavoratrici e lavoratori di tutte le fondazioni stanno dichiarando il loro disappunto prendendosi qualche minuto all'inizio delle aperture delle prime. Lo hanno fatto a Roma, a Caracalla, e in altri teatri in tutta Italia. Dopo l’incontro vedremo se sarà opportuno anche prendere in considerazione delle iniziative di mobilitazione, che fino ad ora non abbiamo avviato per senso di responsabilità. Però non siamo disposti a sostenere delle iniziative governative che vanno solo nella direzione della propaganda e non della sostanza.
A proposito di propaganda, vogliamo parlare di Sangiuliano e del mito dell’italianità nel mondo?
Questa mitizzazione dell’italianità inficia tutto il perimetro delle attribuzioni degli spazi, dei ruoli, dei finanziamenti. Quest’idea di stanziare fondi, di concedere soldi ai progetti artistici sulla base di quanto promuovono il nostro essere italiani rischia di sacrificare un patrimonio immenso, la rappresentazione della complessità della società italiana, che non può essere ridotta a una ipersemplificazione di quelli che sono la cultura o lo spettacolo nel nostro Paese. C’è un tema importantissimo, inoltre, ovvero che così facendo si riduce sempre di più l’accesso alle proposte culturali. E questa io credo sia una delle grandi battaglie che come Cgil dobbiamo combattere: consentire l'accesso ai luoghi della cultura, sia ai cittadini che agli artisti. Perché c’è davvero il rischio che diventi un club esclusivo.
È la politica dei grandi eventi applicata al settore della cultura e dello spettacolo. Il concerto o la mostra “pop” con i grandi nomi italiani che celebrano il made in Italy sì. La ricerca, la sperimentazione, le produzioni indipendenti no.
Attenzione però: la cultura pop non è in sé negativa. Questo non lo pensiamo nella maniera più assoluta. Ma non può essere esclusivamente quella che viene sostenuta, promossa e finanziata. Così perdiamo la possibilità di crescere, di sperimentare, di ragionare sull’avvento delle nuove tecnologie, sull’evoluzione dei modelli comunicativi. Lo spettacolo dal vivo si nutre di una pluralità di presenze, di teatri pubblici, privati, cooperative, fortemente radicati sul territorio. Si tratta di un tessuto produttivo che ha bisogno di essere alimentato, piuttosto che continuare a concentrarsi solo sulla visibilità delle grandi iniziative. C’è bisogno di un bilanciamento, altrimenti queste realtà le distruggi. E questa cosa la ribadiremo anche nel nostro prossimo incontro con il ministero.