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Il Leone d'oro di Venezia 2023 è Poor Things di Yorgos Lanthimos. Alla fine la giuria, guidata dal regista americano Damien Chazelle, ha scelto: il premio maggiore va alla nuova opera del greco, ora in co-produzione americana, che ha portato in concorso la magnifica storia di una donna, tra horror e fantascienza, interpretata da Emma Stone. Anche lei avrebbe meritato. I migranti salgono con forza sul palco veneziano: lo fanno con Io Capitano di Matteo Garrone (miglior regia), che li porta sotto i riflettori proprio a livello letterale, concreto, dato che lascia loro la parola durante la premiazione. Il protagonista Seydou Sarr, attore senegalese di 21 anni, vince anche il premio Marcello Mastroianni come migliore esordiente.
E non basta: sempre migranti sul palco con The Green Border di Agniezska Holland, premio speciale della giuria, che racconta l'orrore che si consuma al confine tra Bielorussia e Polonia. Ad ottenere il Leone d'argento è il film ecologista del giapponese Ryusuke Hamaguchi, Evil does not exist. Insomma, un verdetto dal forte sapore sociale quello di Chazelle, col dramma dei migranti in primo piano. Ma, va detto, il Leone a Poor Things mette d'accordo tutti perché era il migliore in competizione, fin dalle prime proiezioni si è imposto sia nel pubblico che tra la critica, un giudizio condiviso che è molto raro nei festival.
Pablo Larraín ha vinto la migliore sceneggiatura con El Conde. Evidentemente la sua continua riflessione sulla dittatura cilena, con Pinochet in forma di vampiro, ha convinto i giurati. La Coppa Volpi come sempre premia le migliori interpretazioni. Il miglior attore è Peter Sarsgaard per Memory di Michel Franco, sul rapporto tra una donna abusata e un uomo malato di Alzheimer. La migliore attrice è Cailee Spaeney, venticinque anni, che incarna la moglie di Elvis nel biopic Priscilla, un ruolo a forte connotazione femminile che lancia così la sua carriera. Vediamo nel dettaglio.
Il ruggito del Leone
Ha incantato il Leone di Lanthimos, Poor Things che uscirà in italiano col titolo Povere creature!. Nel suo stile provocatorio e grottesco, inscena il percorso di formazione di una donna, interpretata dalla migliore Emma Stone di sempre, frequentando il cinema horror e della fantascienza. C'è uno scienziato pazzo e la sua creatura, novella Frankenstein con cervello di neonata che si affaccia nel mondo. Prenderà coscienza delle storture, e insieme del proprio essere donna. Libero e divertente, a tratti eversivo, Poor Things ha spaccato il muro della banalità rivelandosi un piccolo capolavoro.
Garrone porta sul palco i migranti
Doppio riconoscimento importante per Io Capitano di Matteo Garrone, dedicato al tema dei migranti. Molto apprezzato e applaudito, già in sala da giovedì scorso, il film racconta il dramma degli sbarchi da un'altra prospettiva: la storia di due ragazzi senegalesi che sognano di andare in Europa e si imbarcano in un lungo viaggio. Proprio dal Senegal si parte, dunque, per attraversare un percorso durissimo che passa nel deserto, nei centri di detenzione in Libia e in mare aperto, con l'acqua che rischia di diventare una tomba. Come sempre in Garrone però non aspettatevi un rigido sguardo realista, anzi il racconto trova l'ispirazione per deviazioni fantastiche e metafore immaginifiche. Film forte, potente, con un notevole cast africano, che rilancia la questione dei migranti più che mai fondamentale al tempo del governo Meloni.
L'orrore al confine tra Bielorussia e Polonia
È stato proprio il festival dei migranti. Oltre a Garrone, come detto, c'era The Green Border. La più famosa regista polacca mette in scena la crisi dei migranti al confine tra Bielorussia e Polonia, ancora in atto. Il confine verde è una vasta area boschiva che gli uomini e donne cercano di superare, per arrivare nell'Unione europea salvandosi dalle zone di crisi, come la Siria. Solo che si trovano tra due fuochi: da una parte il crudele regime di Lukashenko li spinge verso il confine spinato, usandoli come "proiettili umani" contro la Ue, dall'altra le stesse guardie polacche sparano e li respingono indietro, per non farli entrare. Violenze su anziani, bambini, donne incinte. Film duro, a tratti insostenibile, che mostra la violenza da parte delle dittature, ma anche l'ipocrisia dell'Unione europea. È stata chiara la regista dal palco: "Dedichiamo il premio a tutti gli attivisti, a tutti coloro che stanno aiutando i migranti, dalla Polonia a Lampedusa". L'altro piccolo, ma non minore, film sui migranti è il cortometraggio The Measeller di Margherita Giusti, documentario animato che racconta il viaggio di Selinna dalla Nigeria all'Italia. Qui il podcast con intervista alla regista.
Dal Giappone una lezione di ecologismo
Il Male non esiste del giapponese Ryusuke Hamaguchi, Leone d'argento, evoca un altro nodo gordiano della nostra epoca: l'ambientalismo. O per meglio dire, l'ecologismo. È infatti la storia di una piccola comunità che viene "violata" da un'azienda per costruire un campeggio di lusso, rischiando di avvelenare il sorgente d'acqua limpida attorno a cui ruota la vita del paese. Un altro titolo che rientra esattamente nello spirito del tempo. Pablo Larraín ha portato in competizione El Conde, immaginando Pinochet come un vampiro di 250 anni, che ha vinto la sceneggiatura. Qui il podcast con la voce del regista.
Donne che lottano per la libertà
Ma è stato anche il festival delle donne. In particolare, della presa di coscienza e della ricerca della libertà. Si ritrovano questi temi come leitmotiv di tanti film. C'è Priscilla di Sofia Coppola, sulla moglie di Elvis Presley e il suo difficile rapporto col divo, che le diceva cosa fare e come vestirsi, come truccarsi, perché accettare i suoi endemici tradimenti. Fino al gesto di coraggio di Priscilla che chiederà il divorzio. Un uomo travestito da donna è protagonista di Kobieta Z..., il film di Małgorzata Szumowska e Michał Englert, ambientato in Polonia negli anni della transizione tra il comunismo e il capitalismo. Un altro percorso verso l'autonomia, per raggiungere la libertà dell'essere se stessi. Jessica Chastain è la donna al centro di Memory di Michel Franco, in cui deve affrontare l'orribile ricordo di uno stupro. Holly è protagonista del film omonimo di Fien Troch, un'adolescente in Belgio che compie il percorso di formazione.
Il sentimento di Brizé
Stéphane Brizé lo conosciamo come regista del lavoro. Stavolta ha cambiato tema, legittimamente, come sanno fare i grandi autori che non si limitano a girare sempre lo stesso film. In Hors-Saison rappresenta la storia d'amore tra due persone adulte, Guillaume Canet e Alba Rohrwacher, un attore famoso e una donna con un lavoro normale, che si ritrovano dopo essere stati insieme in passato. Mutano gli ingredienti ma resta intatta la capacità di Brizé di arrivare all'emozione.
Un gioiello di animazione contadina
Da segnalare poi nella sezione Orizzonti il lungometraggio di animazione Invelle di Simone Massi. Il regista nell'arco di novanta minuti compone una straordinaria ode alla civiltà contadina, con una felice capacità di invenzione. Attraverso la storia di due bambine e un bambino, andiamo nel tempo dalla guerra alla Resistenza, da Aldo Moro al terrorismo fino ad approdare all'oggi. Quando arrivano i partigiani, il bianco e nero del film si tinge di rosso. Il piccolo mondo antico dell'agricoltura riprende la sua dignità in un film di continua invenzione. Il migliore italiano visto al Lido.
Il futuro del cinema
Come sempre, Venezia 2023 è servita per sondare lo stato di salute del cinema. In generale di una fetta del settore della cultura, con tutto ciò che gira attorno, per primi i lavoratori. Una mostra non perfetta, che si può anche criticare, perché manca in concorso una ricerca verso molte zone del mondo, per esempio non c'è traccia di film africani - che pure hanno una grande scuola e tradizione. La competizione è piena di italiani, americani e film europei. Bisogna guardare un po' oltre l'Occidente, aprire lo sguardo perché il cinema merita un orizzonte lungo che vada al di là del nostro recinto.
Temiamo però che non lo faccia il vociferato "festival di destra" previsto per il 2025. L'anno prossimo sarà l'ultimo del direttore Alberto Barbera, poi si dovrà nominare il nuovo corso, il primo dell'era Meloni, e già si temono ingerenze politiche. Certo, se come si dice un po' per scherzo il Festival di Venezia venisse diretto da Luca Barbareschi allora non siamo messi bene... "Meglio non pensarci troppo", citando Woody Allen alla fine di Coup de Chance, nel suo caso riferendosi alla morte. Noi invece ci auguriamo la rinascita, non solo della Mostra ma anche del cinema in sala, sperando in una stagione positiva al botteghino che non sia solo l'incasso record di Barbie e Oppenheimer. Per il bene di tutti.