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Nove donne, nove vite, nove squarci sul femminile. Si intitola “L’ultima apra la porta “ il docufilm di Carlo Albé, per la regia di Samuele Mosna, realizzato grazie al contributo di Cgil Veneto e con la collaborazione del Coordinamento donne regionale. Presentato in anteprima a Padova al Teatro Ruzante, il documentario verrà poi proiettato nelle scuole, nelle università e nel corso di incontri dedicati al gender gap e alle discriminazioni di genere. Il film nasce dall’omonimo spettacolo del 2019, in cui Albé, che ne è l’autore, condivide la scena con l’attrice Giusy Leonardi, per una riflessione sui mondi del maschile e femminile che si incontrano, e si scontrano. Sullo schermo, invece, l’attore e scrittore lombardo porta nove storie di donne molto diverse tra loro, che si raccontano a cuore aperto.
INCINTA? LICENZIATA
Passato, presente e futuro nelle parole che ripercorrono la vita lavorativa e quella personale, indissolubilmente intrecciate. Sullo sfondo le tappe storiche dell’emancipazione, dalle conquiste del passato, attraverso le lotte condivise, a un presente dove essere donna vuol dire confrontarsi ancora con stereotipi triti, che però costituiscono ancora un pesante tetto di cristallo. C’è la storia di Carlotta, licenziata perché incinta, costretta a mesi di ricatti e mobbing che hanno avuto pesanti conseguenze sul suo stato fisico, trasformando un periodo di grazia in un inferno emotivo e psicologico.
SI CHIAMA STALKING, NON ATTENZIONI
C’è Irene, una delle oltre tre milioni di donne italiane che hanno subito stalking. Ci sono voluti l’intervento combinato della Cgil, di un centro antiviolenza, dei carabinieri e di una consigliera per le pari opportunità, per riuscire a convincere l’azienda che quelli messi in atto dal collega erano atti persecutori, e non normali segnali di attenzione. Che pure quelli, poi, normali non sono mai. Un documentario che segna il percorso con un lato nero e un lato bianco in cui, come nella vita, amarezze e gioie si mescolano, in un gusto agrodolce.
MADRE E AUTISTA
Come la storia di Virna, che apre per prima la porta, raccontando di cosa volesse dire essere una madre single trenta, quarant’anni fa. Di come, da professionista nel settore del marketing e della comunicazione, si ritrova a dover rinunciare a pezzi di sé, per far fronte alla solitudine e alla necessità di tenere tutto insieme. E così cresce i suoi figli, prima accompagnando i bimbi sugli scuolabus e poi addirittura diventandone l’autista. L’ultima ad aprire la porta è Iolanda, che ricorda il lavoro nelle pelletterie negli anni settanta, ancora giovanissima, fino poi alla scoperta del sindacato. La tristezza, nella voce, mentre pensa alle conquiste faticate e oggi di nuovo messe in discussione, sulla sicurezza e la salute delle donne, sulla possibilità di essere madri e lavoratrici.
LA CGIL C’È
In tutti i racconti emerge un filo rosso, come il colore del sindacato, protagonista o comprimario in ognuna di queste vicende. Per alcune un sostegno per uscire da una condizione di difficoltà, per altre un porto sicuro a cui ancorarsi nella precarietà. Per altre ancora la scoperta di una passione, quella per l’impegno nella tutela di tutte le altre compagne. “La Cgil ha deciso di contribuire al progetto del documentario per raccontare le diverse realtà vissute dalle donne che lavorano, con un focus sull’attuale perdita dei diritti rispetto a quanto ottenuto negli anni delle grandi lotte e rivendicazioni sociali – commenta Margherita Grigolato, coordinatrice
delle politiche di genere per la Cgil Veneto -. Se da una parte oggi è più o meno accettato che una donna svolga lavori che un tempo erano prerogativa esclusivamente maschile, dall’altra parte non ci si riesce a smarcare da un immaginario in cui il lavoro di cura e il carico familiare sono esclusivo appannaggio della donna, che si ritrova così a svolgere contemporaneamente due o tre lavori”.IL POTERE DELLE STORIE
Per l’autore, Carlo Albé, “L'ultima apra la porta ha l'obiettivo di essere uno strumento di comunicazione sociale e artistico, in grado di raccontare con una chiave diversa il lato bianco e il lato nero delle condizioni lavorative delle donne. Perché il compito di una storia non è solo quella dell'essere raccontata, ma di essere anche largamente diffusa, affinché venga conosciuta, commentata, supportata e perché no, anche discussa e criticata”.