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Nell’analisi che Marco D’Eramo sviluppa in questo suo ultimo lavoro dal titolo “Dominio. La guerra invisibile dei potenti contro i sudditi” (Feltrinelli, pp. 256, euro 19), troviamo la storia degli ultimi cinque decenni ricostruita attraverso uno sguardo che spiazza il lettore, stravolgendo parametri consueti e concetti solo all’apparenza messi al riparo dall’imperversare degli eventi.
Tra tutti quello di rivoluzione, che l’autore precisa sin dal suo prologo: “La tesi che voglio dimostrare è appunto che negli ultimi cinquant’anni è stata portata a termine una gigantesca rivoluzione dei ricchi contro i poveri, dei padroni contro i sudditi, dei dominanti contro i dominati”. Una rivoluzione, specifica il sottotitolo, condotta in maniera invisibile, e dunque subdola se non vigliacca, ai danni di un’altissima percentuale della popolazione mondiale: c’è chi negli ultimi anni ha indicato addirittura il numero 99, sconfitto e sottomesso dall’1%. Scorrendo le pagine di questo libro, non sembra essere una forzatura aritmetica.
Una tesi del genere inevitabilmente torna alle affermazioni di Warren Buffett, tra i più facoltosi del pianeta, quando non mancò di ribadire che la guerra dei ricchi contro i poveri non solo c’è stata, ma è stata anche vinta da quelli come lui. Il libro di D’Eramo, nel complesso, non fa altro che fornirci le prove e gli esiti di questa mirata operazione.
Interessa a questo punto comprendere quali siano le armi utilizzate, e in un tipo di guerra come questa possono essere considerate tali anche le idee, come nel secondo capitolo viene acutamente approfondito mettendo in discussione, esempio tra molti, l’invenzione del premio Nobel per l’economia, che Nobel non dovrebbe essere, ma che nel 1968 venne istituito dalla Banca centrale svedese (non a caso negli anni della socialdemocrazia sostenuta da Olof Palme), da quel momento in poi abile nel premiare quegli studiosi in materia che favorivano attraverso l’esposizione e la diffusone delle proprie convinzioni la legittimazione del neoliberismo più estremo. In questo modo veniva messa da parte ogni residua teoria di quel keynesismo che nel secondo dopoguerra aveva offerto la possibilità di costruire una stabilità sociale fondata su diritti ed eguaglianza, in luogo di una nuova ortodossia monetaria, e monetarista, sviluppata in particolare dentro le aule dell’Università di Chicago.
Le conseguenze di questa visione capitalista e totalitaria sono devastanti, e arrivano sino a noi. Tracciando un percorso cronologico disegnato nel volume con assoluta precisione, grazie al supporto di numerose citazioni tratte dalle fonti più varie e documentate, ci si trova costretti a fare i conti con una realtà difficile da accettare, ma che fotografa in maniera impietosa i tempi che stiamo vivendo, coinvolgendo altri sistemi sociali (la giustizia, la tecnologia, le università, l’istruzione in generale), sintetizzabili in un attacco indiscriminato nei confronti della sfera pubblica, rappresentata in particolare, ma non soltanto, dalla concezione di Stato.
Il risultato è quello di assistere all’assalto del Capitale nei confronti della Natura, all’avvenuta certificazione di una inquietante “privatizzazione del cervello”, al trionfo della società del controllo a distanza, anche in virtù dell’abuso più o meno diretto di strumenti non certo convenzionali, ultimo ma non unico la pandemia contro la quale continuiamo a combattere, e che per sconfiggere siamo chiamati ad affrontare quasi a mani nude, ricorrendo a privazioni necessarie.
Ma l’invito dell’autore nel capitolo conclusivo, prima di un articolato ed efficace post scriptum, è quello di tornare al valore originario di rivoluzione, vale a dire restituirla a chi spetta di diritto, al popolo, ai più deboli, ai sottomessi, ai sudditi di questo nuovo secolo, che in alcune circostanze sembra voler annusare pericolosamente l’odore dell’apocalisse: “Visto che i dominanti hanno tanto imparato dai dominati, è forse giunto il momento che noi dominati impariamo da loro. Per come hanno condotto la loro vittoriosa controrivoluzione, ci hanno mostrato con chiarezza i terreni dello scontro”.