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È un giorno come tanti, nel 1976, quando un gruppo di amici decidono di tirare su la saracinesca. Quel cinema parrocchiale era chiuso da tanto, loro lo rilevano e capiscono che è il momento di riaprire i battenti. Comincia quel giorno l’avventura del cinema Mignon di Mantova. Piccolo nel nome, grande nella storia che racchiude: quella di un gruppo di cinefili legati da una forte amicizia e dal desiderio di dare nuova vita a una vecchia sala parrocchiale.
MANTOVA, LA STORIA DEL CINEMA MIGNON
Agostino Cenzato racconta così la nascita del cinema che oggi, dopo cinquant’anni, continua a tenere aperto ogni sera. Ma la storia di questo spazio culturale in una cittadina del Nord Italia è il vero contraltare di quanto sta accadendo, in queste brutte settimane, nella capitale. Oltre 50 sale chiuse e abbandonate da tempo che, con il cosiddetto salva-Metropolitan, rischiano di essere trasformate in centri commerciali.
DA CINEMA A NEGOZI
La delibera per la destinazione d’uso delle sale, che farebbe cadere il vincolo culturale preesistente, è stata oggetto di appelli e proteste da parte dell’intero mondo dello spettacolo e di una forte opposizione da parte del sindacato. Grazie a questa mobilitazione, il governatore del Lazio Rocca ha mostrato qualche apertura all’interlocuzione con produttori, registi, esercenti. Ma la questione va molto oltre il caso specifico e mette in evidenza, se mai ce ne fosse bisogno, la totale miseria in cui versano le politiche culturali nel nostro paese.
SLC: SALE CHIUSE, LAVORATORI SFRUTTATI
"Perdere cinema e teatri sul territorio rappresenta un grave danno per la cultura del nostro Paese e la socialità delle comunità locali”, nota Sabina Di Marco, segretaria nazionale Slc Cgil: “Queste chiusure vanno di pari passo con la svalorizzazione del lavoro degli addetti di questo comparto”. La categoria non ha firmato l’ultimo rinnovo del contratto nazionale relativo agli esercizi cinematografici, auspicando invece un “avvicinamento tra le parti per siglare un'intesa che non precarizzi ulteriormente le lavoratrici e i lavoratori e non li renda sempre più ricattabili".
NO AL NUOVO CONTRATTO DEGLI ESERCENTI
L'accordo attuale, infatti, prevede che non ci siano causali e nessun tetto per i contratti a tempo determinato nelle aziende con meno di cinque dipendenti. Introduce il lavoro a chiamata, a tempo sia determinato sia indeterminato, senza limiti di età, che potrebbe (sommato al tempo determinato) arrivare a coprire fino al 100 per cento degli addetti nelle piccole realtà e - come spiega la Slc - il 50 per cento nelle grandi catene.
LAVORO TROPPO POVERO
Parte degli aumenti salariali, inoltre, sono vincolati a strumenti di welfare, previdenza e sanità integrativa, che risultano difficilmente accessibili per i lavoratori a tempo determinato. Un contratto che insiste nella direzione del lavoro povero nel settore della cultura e dello spettacolo dal vivo. E che, per di più, sembra essere un tassello di una situazione più generale, di cui cinema e teatri abbandonati sono un’altra triste manifestazione.
DI MARCO, SLC: NO A CINEMA E TEATRI ABBANDONATI
"Non è accettabile lasciare in abbandono sale cinematografiche o teatri, non per dieci anni, non per sette, ma neanche per uno, due o tre”, prosegue Di Marco: “Ogni giorno di chiusura rappresenta una perdita incolmabile”. E tuttavia, per ogni giorno in cui decine di sale sono rimaste chiuse in tutto il paese, Agostino Cenzato e i suoi compagni di avventura hanno invece tenuto aperto quello che è diventato un riferimento per tutta la città di Mantova. Ma soprattutto, uno spazio di comunità.
“GLI ULTIMI FUOCHI”, I PRIMI DEL MIGNON
“Aprimmo nel novembre 1977. Il primo film che proiettammo fu Gli ultimi fuochi, di Elia Kazan”. Agostino torna indietro nel tempo e racconta delle prime proiezioni organizzate: Mazzacurati, Moretti, Rubini, Bentivoglio. “Siamo rimasti un gruppo coeso nel tempo. La nostra, più che una passione è diventata una vera malattia”, scherza Agostino: “Oramai quelli che vengono al cinema da noi sono i sopravvissuti: al Covid, al divano, alla televisione. Per lo più diversamente giovani dai sessant’anni in su”.
LE LEGGI “AMMAZZA-CULTURA”
Eppure, nonostante un velo di nostalgia – forse di amarezza – nella voce di Agostino, quello che davvero emerge dalle sue parole è la forza di un progetto, la capacità di resistere al tempo grazie a un investimento culturale e umano notevole. Sono le esperienze nate sul territorio, dalla provincia, dai quartieri, o come si suol dire: nate “dal basso”. Sono le storie che ci insegnano come costruire socialità e cultura, ma che questo governo ha dimostrato di voler sistematicamente cancellare, rispondendo a colpi di salva-Metropolitan e decreti Caivano. Provvedimenti che asfaltano intere comunità, invece che aiutarle a crescere.
CINEMA PRESIDI DI SOCIALITÀ
“Noi vogliamo interpretare – conclude Di Marco – il sentimento di cittadini e cittadine, lavoratori e lavoratrici del cinema di Roma e del Lazio per i quali le sale cinematografiche rappresentano in molti contesti territoriali, soprattutto periferici, il solo presidio culturale, la sola occasione per fruire dei contenuti della settima arte e avere occasioni concrete di socialità”.