Ha debuttato la sera dell’8 marzo, e sarà in scena anche il 9 al teatro Tram di Napoli Candy, memorie di una lavatrice, vincitore del Premio “Regista con la A 2024”, per spettacoli diretti dalle donne, un premio che ogni anno il Tram ripropone per contrastare il gender gap tra artisti nel mondo del teatro. Il monologo racconta la storia di Elena Biru, nome di fantasia, immigrata rumena, che in realtà ha il volto e la voce delle moltissime braccianti rumene sfruttate nelle campagne di Ragusa, in Sicilia. La storia di Elena è narrata da Candy, una lavatrice rinchiusa nel capanno degli attrezzi insieme a lei. Nel 2014, un’inchiesta del settimanale L’Espresso ha rivelato che circa cinquemila braccianti rumene vivono in condizioni di totale sfruttamento, lavorativo e sessuale.

Iris Basilicata, attrice e autrice del monologo, da dove nasce la suggestione di far parlare una lavatrice?
Quando frequentavo il corso di drammaturgia all’Accademia Silvio d’Amico scrissi un racconto su una lavatrice che, all'interno di un appartamento, si ribellava ai suoi padroni e smetteva di funzionare. Nello stesso periodo avevo letto diverse inchieste sui giornali relative a vicende di caporalato. Tra queste, mi colpì quella che riguardava lo sfruttamento di molte donne rumene nelle campagne del ragusano. Mi venne così l’idea di raccontare la storia di una ragazza arrivata in Italia alla ricerca di un futuro migliore, ma attraverso il punto di vista di un oggetto inanimato, che improvvisamente prende vita. Candy tratta Elena come se fosse un suo accessorio, un regalo che le è stato fatto, e non viceversa.

Iris Basilicata

Elena vive nel capanno degli attrezzi della casa appartenente al padrone siciliano, ed è qui che si trova anche Candy, che aspira a diventare la migliore lavatrice d’Italia. Da qui scorre il racconto delle loro giornate, da cui filtrano le quotidiane prepotenze, i soprusi, gli abusi anche di natura sessuale nei confronti di queste donne.

L’espediente di trasformare un oggetto in un personaggio è molto interessante, sia al livello narrativo che drammaturgico, perché permette di stravolgere il punto di vista tradizionale, offrendo una prospettiva del tutto nuova
Sì, assolutamente. In un momento in cui siamo circondati da oggetti di ogni tipo, mi piaceva l’idea di renderne uno vivo, di dargli una personalità. Candy si definisce essa stessa una lavatrice lavoratrice, ma non si accorge in alcun modo degli abusi e dei soprusi subiti da Elena, almeno fino a quando non succede qualcosa. Allora smetterà di sorridere, smetterà di raccontare tutto come una cosa bella, e si renderà conto che quella che sta raccontando, in realtà, è una storia tremenda.

Dietro al monologo c’è un grande lavoro di documentazione. Come ha operato sul testo per mescolare realtà e finzione?
Come dicevo ho letto diverse inchieste, visto documentari, letto tanti libri, tra cui quello di Stefania Prandi, Oro rosso, che parla dello sfruttamento delle raccoglitrici di pomodori. In una prima fase ho cercato di prendere tutte le storie e le testimonianze che riuscivo a leggere. E poi mi sono messa a scrivere, per circa sette, otto mesi. Ma è stato un lavoro lungo, perché prima ho preferito leggere tutto quello che mi capitava sull’argomento, per potere poi provare a far convivere tutte queste ragazze in un’unica donna, la protagonista del mio monologo. La storia di Elena Biru le racchiude un po' tutte. Mi piaceva l'idea di costruire la drammaturgia alternando toni dolci e amari. Lo spettacolo, infatti, si apre con un’atmosfera fatata, in cui Candy è vestita di Miss Italia, perché ambisce a essere la numero uno.

Lo spettacolo, che ha vinto il Premio regista con la A, è andato in scena ieri (8 marzo) e replica oggi al Teatro Tram di Napoli. Due date significative, vista la ricorrenza. Un caso o una scelta?
L’assegnazione delle date è stata casuale all’inizio, ma poi ovviamente si è riempita di significato. Per me è molto importante fare questo spettacolo l’8 marzo e raccontare un caso di cronaca ancora troppo poco conosciuto, le cui vittime sono moltissime donne. Il caporalato nelle campagne del ragusano è una vecchia storia, che risale già al 2014. Sono passati undici anni, ogni tanto veniva pubblicata qualche inchiesta, sempre con le stesse storie, le stesse denunce. Non è cambiato nulla ancora oggi. Mi capita spesso, a fine spettacolo, che qualcuno mi si avvicini per chiedermi se questa storia me la sono inventata io, e questo ci dà la misura di quanto ancora sia sconosciuta ai più.

Parliamo di cifre enormi: 5 mila braccianti rumene che vivono in condizioni di sfruttamento totale, lavorativo e sessuale, sottoposte a ricatti sistematici
Documentandomi, ho scoperto di questo squallido “codice” con cui i padroni mettono in pratica l’abuso sessuale: la colazione offerta. Il sacchetto poggiato su un lato dell’automobile, quando la mattina presto vanno a prendere le braccianti per portarle nelle serre. Ragazze che lavorano oltre dieci ore al giorno, costrette la sera a partecipare a “festini agricoli”. Ma anche donne sposate i cui mariti, anch’essi braccianti, sono a conoscenza di tutto e costringono le proprie mogli a diventare schiave sessuali dei padroni.

Candy è una lavatrice antropomorfa, possiamo vederci dentro anche la nostra indifferenza, il nostro vivere ignorando quello che ci succede accanto?
Sì, assolutamente. Quasi per tutto lo spettacolo Candy racconta di quello che accade in maniera molto leggera. Tutto, persino le scene di sfruttamento, le scene di violenza, Candy le racconta come se fossero assolutamente normale: “è successo questo, però fa niente, però la nostra famiglia è perfetta, però qui stiamo benissimo. In verità è Elena che si lamenta troppo”. Solo alla fine Candy apre gli occhi: lei ed Elena sono state entrambe ingannate. Lo spettacolo si conclude con la scoperta di un terribile segreto, ma anche di un’amara e inconfutabile verità: la lavatrice non sarà mai la migliore di tutta Italia. Anche lei, come Elena, è stata ingannata.

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