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“Accorrete, dunque, se vi punge il desiderio del meglio, se vi sta a cuore l’avvenire vostro e dei vostri figli”. Così recitavano i manifesti che tappezzavano i muri di Bologna nel marzo del 1893, quando cittadini e operai furono chiamati a raccolta per costituire la Camera del Lavoro. In un documentario voluto e supportato dalla Cgil di Bologna, per festeggiare i propri 130 anni, Valerio Lo Muzio ne racconta gli ultimi trenta, facendo emergere il grande protagonismo dei lavoratori nelle trasformazioni della città.
Sempre di più il linguaggio audiovisivo diventa lo strumento privilegiato per la ricostruzione storica e storiografica degli ultimi decenni. Anche in questo caso è stato così?
La scelta, in realtà, è dovuta a diversi fattori. La Cgil aveva già commissionato altre produzioni culturali per festeggiare i 130 anni, tra cui un libro. Inoltre ci siamo interrogati sulle fonti, sul materiale di archivio a disposizione, non di facile reperibilità soprattutto rispetto al periodo della guerra e del ventennio fascista. Per ovvi motivi, non si trovano molte foto di quella fase storica, mentre invece sarebbe stato molto più facile, e più forte, reperire materiali di archivio sugli ultimi trent’anni.
Il documentario si apre con un’intervista a Danilo Barbi, che era segretario della Camera del Lavoro quando venne ucciso Marco Biagi nel 2002, quattro giorni prima della grande manifestazione romana al Circo Massimo, per la difesa dell’articolo 18.
La narrazione non è cronologica, non è quello che scandisce il tempo del racconto, ma piuttosto il rilievo degli avvenimenti che hanno sconvolto la città di Bologna e il paese intero. Quella del Circo Massimo a Roma è stata la più grande manifestazione di piazza organizzata in Italia, e la forza della Cgil fu di trovare il modo giusto per arrivarci, nonostante il terribile omicidio di qualche giorno prima. Negli ultimi trent’anni la Cgil ha rivestito un ruolo chiave, in questa città e in Italia, con la capacità duplice di intercettare i fenomeni in anticipo e di confrontarsi con i fatti per affrontarli in maniera incisiva. Io faccio il giornalista, ho sempre fatto questo nella vita, e sin da quando sono arrivato in questa città mi sono reso conto che la Cgil era un soggetto molto presente, radicato, in prima linea nelle battaglie. Questa cosa le persone la percepiscono, sentono che il sindacato non è solo l’entità che tutela il posto di lavoro, ma è anche intestatario di una visione del mondo, un modo di vivere, un riferimento rispetto a tutti gli ideali che accomunano le persone che vi si avvicinano.
Si diceva di Bologna fucina di idee, laboratorio di proposte politiche alternative e, proprio in quegli anni, luogo di incontro tra anime differenti, come quelle del sindacato, degli studenti, dei movimenti. E, a tal proposito, proprio del Movimento dei movimenti, la vera novità che emerse in quegli anni sulla scena dell’attivismo politico.
Sì, esattamente. In quegli anni sembrò ricrearsi quella magia che c’era stata negli anni ‘60 e ’70, che fece sì che i movimenti tra loro dialogassero. Gli studenti parlavano con i lavoratori. E questa cosa avviene anche nei primi anni del 2000, un po’ dappertutto, ma specialmente a Bologna. La forza di questo documentario sta, secondo me, nel fatto che nonostante sia stato commissionato dalla stessa Cgil, nel secondo capitolo il sindacato è pronto – come emerge dalle interviste – anche a mettersi in discussione, a riflettere sul proprio passato recente. Il sindacato non si lascia sfuggire l’opportunità di interrogarsi sul perché l’esperienza del Movimento dei movimenti alla fine si sia esaurita. Fu una sconfitta generazionale, e con la Cgil di Bologna abbiamo valutato che fosse importante fare una riflessione su questo, anche nel documentario.
In questo momento storico, la Cgil sta facendo un enorme sforzo di evoluzione per provare a rispondere a domande che provengono da un mondo del lavoro in continua trasformazione.
Come soggetto collettivo, sta provando a intercettare i lavoratori all’interno di un mercato del lavoro che è già estremamente diverso da quello di trent’anni fa, ma anche rispetto a quello di dieci anni fa. La costante che resta è quella dello sfruttamento. Questo è, invece, il ragionamento che cerchiamo di sviluppare nella seconda parte del documentario. Una volta erano gli operai che dal Meridione si trasferivano in massa a Bologna o a Torino, per andare a lavorare nelle grandi fabbriche. Oggi sono i migranti senza alternativa, che finiscono all'interno di dinamiche aziendali come quelle del food delivery, che li sfruttano. Il sindacato è stato in grado, secondo me, di intercettarli, di capirli, come raccontiamo nel capitolo sui rider. Quello che emerge con forza, nella vita quotidiana di questa città, è che a Bologna il sindacato c’è. Io vengo dal Sud, non nego di essere cresciuto un po’ con il pregiudizio che fosse inutile rivolgersi ai sindacati, che i lavoratori fossero soli. E invece, arrivato qui a Bologna, mi avvicinai subito al mondo del lavoro per raccontarlo come giornalista. E raccontando le crisi aziendali, le storie dei precari e di chi era rimasto disoccupato, mi sono reso conto che tra i protagonisti c’era sempre il sindacato. Un’entità viva, presente.
E questo lo raccontate bene nell’ultima parte del film, attraverso le interviste a chi quotidianamente accompagna i cittadini nella ricerca del lavoro, nella difesa dei propri diritti, nella conoscenza delle tutele possibili. È il sindacato sul territorio, il sindacato di prossimità.
La Camera del lavoro e il sistema dei servizi sono la risposta frontale all'emergenza, il supporto nel percorso. Penso a un giovane che entra nel mondo del lavoro, quindi magari riceve la prima busta paga e va al patronato per capirne di più. Ripeto, il sindacato non solo interviene nelle grandi crisi, ma fornisce aiuto, prima assistenza nelle problematiche di tutti i giorni. E poi, al tempo stesso, si confronta con le istituzioni anche su quegli aspetti che riguardano il territorio, lo sviluppo della città, il benessere dei cittadini.
Da osservatore privilegiato rispetto alla città, sia in quanto giornalista che in quanto “straniero” che vi si trasferisce, come è cambiata Bologna rispetto a quando lei vi arrivò anni fa? Resta tutt’ora un luogo di sperimentazione?
Bologna non è mai stata secondo me come il resto del paese. È una terra dove è possibile sperimentare, vivere in un modo diverso. È una città che accoglie, che sa guardare al futuro. Chiaramente sta cambiando, ma esistono qui delle realtà come il sindacato che possono fungere da anticorpi, che provano ad arginare alcune derive.