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Sembra la trama del bellissimo film The Wife, in cui la suprema Glenn Close veste i panni di una donna che cela un doloroso segreto: essere la vera autrice di tutti i libri di successo che sono valsi al marito il Premio Nobel per la letteratura. Ma in questa storia che vi raccontiamo non c’è nulla di romanzato. Fatti, persone e luoghi sono realmente esistiti, e hanno costruito nei decenni una fitta trama di esclusione: quella delle donne dalla storia dell’architettura.
L’atlante delle donne in architettura
A ristabilire la verità ci pensa un bel volume appena uscito, frutto di un certosino lavoro di ricerca ad opera di A.I.D.I.A, l’associazione delle donne ingegneri e architetti, che si concentra sulla capitale. “Non che nel resto d’Italia le cose siano differenti – spiega Raffaella Seghetti, presidente di A.I.D.I.A Roma – ma a un certo punto ci siamo trovate di fronte a una tale mole di lacune che dovevamo mettere un punto”. L’Atlante delle donne in architettura è una preziosa mappa della città e dei suoi progetti, negli anni che vanno dal 1920 al 1975. “Siamo partite da quando è nata la Regia Facoltà di architettura a Roma – illustra Maria Acrivoulis, già presidente nazionale di A.I.D.I.A – per fermarci a quando, negli anni ’70, c’è stato un boom di iscrizioni e di laureate in architettura. Al tempo stesso si è trattato di un momento storico cruciale, che ha visto le università diventare centro nevralgico delle lotte studentesche e femministe”.
Cancellate dalla storia dell’architettura
Come spiegano le due architette, l’Atlante si concentra solo sulle professioniste iscritte all’Albo di Roma e non su tutte le laureate, riprendendo l’intuizione dell’architetta romana Antonella Candelori, che aveva iniziato una ricerca sulle libere professioniste attive in quel lasso di tempo. Uno degli elementi che salta subito agli occhi è la forte discrepanza tra il numero di architette iscritte all’albo e i nomi che compaiono nelle carte progettuali relative alle opere cittadine. Facendo un’accurata ricerca bibliografica, è stata portata alla luce una sistematica cancellazione delle donne da parte degli storici dell’architettura.
La damnatio memoriae
“Nei documenti compaiono circa 180 nominativi di architette – spiega Acrivoulis – veramente troppo poche. Per questo siamo risalite alle fonti, attraverso una serie di interviste dirette fatte alle protagoniste”. Così sono state ricostruite le storie di decine di professioniste impegnate attivamente nella realizzazione dei progetti architettonici, che poi però non venivano apertamente nominate. Venivano “dimenticate”. Una condanna alla damnatio memoriae che trova un caso omologo, purtroppo, anche nella storia dell’arte, oltre che in quella della letteratura.
Le prime laureate in italia
Il volume è il tentativo di colmare un vuoto culturale, di smentire un clamoroso falso storico, restituendo il giusto valore a tutte le donne che hanno contribuito attivamente al cambiamento dell'immagine della città, in anni di trasformazioni urbanistiche cruciali. “Pensiamo alla prima laureata in architettura in Italia, e proprio a Roma, nel 1925, Elena Luzzatto Valentini - ricordano Acrivoulis e Seghetti - e a sua madre Annarella Luzzatto Gabrielli, che si laurea due anni dopo la figlia, nel 1927” .
Il gender gap
Donne che, come racconta la stessa presentazione del volume, hanno spesso lavorato rimanendo nell'ombra rispetto a compagni, mariti e professionisti, più celebri o in studi a forte prevalenza maschile. Sistematicamente escluse dalla narrazione architettonica, o ingiustamente poste in secondo piano. Una pratica che, purtroppo, continua a perpetrarsi anche nel presente. In architettura, come negli altri settori, la disparità di genere si traduce in maggiori difficoltà per le donne a raggiungere ruoli apicali, a essere tenute in considerazione nelle selezioni internazionali. Lo stesso ordine professionale rispecchia una distorsione della realtà, con direttivi formati al 2% da presenze femminili, a fronte del 50% delle iscritte.
(ri)costruire la narrazione
“Parliamo di un settore con una visione ancora molto maschiocentrica”, commenta Acrivoulis, mentre Seghetti accenna a un caso emblematico come quello dell’edilizia, che resta a prevalente appannaggio maschile: “Nelle costruzioni le donne sono ancor meno che nel settore militare”. Di strada ne è stata fatta tanta, dal 1925 ad oggi. Ma altrettanta ne resta da fare. E tanto, ancora, c’è da (ri)costruire.