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Il 12 settembre del 1923, nel pieno divampare della dittatura fascista, Antonio Gramsci propone la fondazione de l’Unità attraverso una lettera nella quale prospetta non solo il nome (“L’Unità puro e semplice, che sarà un significato per gli operai e avrà un significato più generale”), ma anche funzione e linea editoriale del quotidiano (“Dovrà essere un giornale di sinistra, della sinistra operaia. Non è molto facile fissare tutto ciò in un programma scritto; ma l’importanza non è di fissare un programma scritto, è piuttosto nell’assicurare al partito stesso, che nel campo delle sinistre operaie ha storicamente una posizione dominante, una tribuna legale che permetta di giungere alle più larghe masse con continuità e sistematicamente”).
“Gramsci - scrive Maria Luisa Righi su Strisciarossa in una bella recensione al volume L’Unità 1924-1939. Un giornale nazionale e popolare (di Fiamma Lussana) - non è ancora segretario del partito. Scrive questa lettera da Mosca e quando esce il primo numero è a Vienna, ancora costretto all’esilio da un mandato di cattura. Questa formula - capace di tenere insieme lotta politica e analisi teorica, che Gramsci aveva sperimentato a Torino prima all’edizione piemontese dell’Avanti!, poi all’Ordine nuovo (e che nei Quaderni definirà 'giornalismo integrale') - si imporrà ben presto e sarà una cifra che caratterizzerà il quotidiano nel corso della sua lunga storia. Ma le condizioni di semi-legalità, che significarono chiusure e sequestri, continui arresti e pestaggi dei giornalisti e dei diffusori, non consentirono al giornale di divenire compiutamente 'nazionale' e 'popolare' com’era nei propositi del giovane gruppo dirigente raccoltosi intorno a Gramsci”.
Dal 12 febbraio 1924 - primo giorno di pubblicazione - al 31 ottobre 1926 - giorno in cui esce l’ultimo numero legale - l’Unità subisce in effetti ben 146 sequestri nazionali (23 nel 1924, 77 nel 1925, 46 nel 1926). Il giornale ha inoltre due periodi di sospensione: dal 13 al 16 gennaio 1925 e dal 10 al 22 novembre dello stesso anno in conseguenza dell’attentato a Mussolini, opera di Tito Zamboni. La vita legale del quotidiano è appesa a un filo e dopo numerosi arresti, sequestri e irruzioni della polizia, nell’autunno 1926 il governo ne sospenderà ufficialmente le pubblicazioni (i primi tre anni dell’«Unità» sono consultabili sul Portale delle fonti per la storia del Pci – https://www.archivipci.it/).
Il 27 agosto 1927, dalla francese sede di Rue d’Austerlitz, uscirà il primo numero dell’edizione clandestina. Dal 1934 al 1939 la diffusione subisce una battuta d’arresto e diventa man mano meno intensa, ma con lo scoppio della guerra e la lotta nazifascista, il giornale prende nuova vita.
Con l’arrivo degli alleati, dal 6 giugno 1944 riprende a Roma la pubblicazione ufficiale del giornale che esce dalla clandestinità, dopo quasi vent’anni, il 2 gennaio 1945. Dopo più di 90 anni di storia, nell’estate del 2017, verrà dato alle stampe il suo ultimo numero.
“Ci sono storie - recita l’ultimo editoriale, firmato dall’assemblea della redazione - che non dovrebbero finire, per la storia che hanno raccontato e testimoniato, per quella che hanno cercato di capire, per chi ci ha creduto, per chi ci ha messo passione, professionalità e attaccamento. Questa storia, la nostra, hanno deciso di chiuderla nel modo peggiore, calpestando diritti, calpestando lo stesso nome che porta questa testata, ciò che ha rappresentato e ciò che avrebbe potuto rappresentare”.
“Domani l’ultimo numero”, scriveva il direttore: “Oggi invece troverete soltanto pagine bianche: sono pagine di protesta, ovviamente, ma soprattutto di allarme. Per spiegare, senza troppi giri di parole, come sarà il mondo dell'informazione senza la voce l’Unità”.
Bisognerebbe capire - scriveva nel gennaio del 2017 Pietro Spataro sul suo blog - “che oggi questa sinistra incerta, divisa, disorientata - non solo e non tanto nei gruppi dirigenti, ma soprattutto nella sua base popolare, quella che può ritrovare una motivazione di acquisto - avrebbe tanto bisogno di un giornale che sapesse raccontarla e aiutarla a ritrovare la strada giusta o per lo meno a rintracciare gli indizi per un nuovo viaggio. Che la aiutasse a conoscere l’Italia e gli italiani, a capire i problemi, a confrontarsi con la realtà della vita piuttosto che con l’illusionismo e la spingesse a porsi almeno le domande giuste invece che avere sempre le risposte pronte. Che la spingesse ogni giorno a cercare l’unità perduta invece che coltivare le divisioni dopo le tante ferite accumulate negli anni. A questo servirebbe l’Unità. A questo, ne sono convinto, serve ancora l’Unità”.
A questo servirebbe l’Unità. A questo, ne sono convinta, serve ancora l’Unità.