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Mai stato indifferente, Francesco Maselli detto Citto. Eppure quando portò sullo schermo il colosso di Alberto Moravia, nel 1964, fu criticato anche da sinistra perché non condannava abbastanza apertamente il fascismo, come se la forma narrativa dovesse sempre spiegare, sempre puntualizzare. A Moravia invece era piaciuto molto. È stato una mosca bianca nel nostro cinema Maselli, o meglio un’ombra rossa, come il titolo del suo ultimo film di finzione, Le ombre rosse appunto, sulla realtà di un centro sociale oggi. Giusto ricordarlo così, ora che se n’è andato a 92 anni a Roma, dopo una vita ricca e piena.
L'esordio a 23 anni
Nato nella capitale nel 1930, in un ambiente colto e intellettuale, fin da giovanissimo è stato antifascista e resistente, coordinava i ragazzi e ragazze delle scuole medie nell’Unione degli Studenti Italiani. Dopo la Liberazione l’iscrizione al Partito comunista e le lezioni al Centro sperimentale di cinematografica, fino a diventare assistente prima di Luigi Chiarini e poi di Michelangelo Antonioni. Ma il sodalizio più importante è quello con Luchino Visconti. Maselli ha il cinema nel sangue: il primo lungo lo gira a 23 anni, Gli sbandati che viene presentato al Festival di Venezia 1955. L’inizio di una vita allo schermo.
Sfogliando il suo libro dell’immagine, si trovano titoli di vari formati e dimensioni: 16 lunghi di finzione usciti in sala, più una serie di corti, episodi in film collettivi (si usava, come nella Nouvelle Vague), tanti documentari e lavori per la televisione. Per esempio c’è I delfini (1960) con Claudia Cardinale e Tomas Milian, che saranno poi indifferenti, dove i delfini sono i rampolli delle famiglie delle aziende italiane che passano le giornate come ricchi vitelloni in attesa di diventare capitani d’impresa. Perché Maselli, come tutti gli sguardi forti, amava osservare gli altri, il contrario dei comunisti, eseguire lo scavalcamento di campo. C’è Il sospetto (1975), questo sì che guarda in faccia il fascismo, con Gian Maria Volonté nel ruolo di un dirigente comunista clandestino durante il ventennio che sospetta il tradimento di un compagno. Un quadro sfaccettato e complesso dei resistenti e delle loro dinamiche, senza semplificazioni.
Il triangolo proletario
C’è il magnifico Storia d’amore del 1986, che lancia una diciassettenne Valeria Golino, triangolo operaio tra una ragazza e due ragazzi che gradualmente si incarta su stesso. A Venezia vince il Gran premio della giuria e la Coppa Volpi alla protagonista come migliore interpretazione femminile, malgrado la bocciatura del giurato Nanni Moretti. È un The Dreamers nel sottoproletariato romano che fa da controcanto ad Amore Tossico, il capolavoro di Caligari del 1983 sugli eroinomani di Ostia senza speranza. Qui è il contrario, come ricostruito in un bellissimo dialogo tra Maselli e Gabriella Gallozzi: “Attraverso le interviste ai giovani lavoratori proletari e sottoproletari delle periferie sono venuto in contatto con un universo pieno di coraggio (…) – dice Citto -. Erano gli anni del flagello dell’eroina, nonostante condizioni lavorative drammatiche non si drogavano, né rubavano, né si prostituivano ma tentavano comunque la costruzione di un futuro”.
Il film in piazza
Storie diverse, dunque, ma per tutti c’è una traccia comune, una chiave di lettura: l’impegno. La non indifferenza di Maselli lo ha portato a essere “comunista” fino all’ultimo, come lui stesso fieramente si definiva. È stato sempre un amico della Cgil. Ha ideato e coordinato il film collettivo 25 ottobre 2014, sulla manifestazione nazionale del sindacato a Piazza San Giovanni, un'esperienza che ci raccontò su RadioArticolo1 (qui il podcast). Lo fece col suo occhio peculiare, mostrando gli operai che montano il palco e i lavoratori del Sulcis che arrivano sui pullman a Roma di notte, per contestare il Jobs Act di Renzi. D’altronde lui li sapeva riconoscere, i resistenti.
Per omaggiarlo possiamo vedere o rivedere tutti i suoi film, a partire da Gli indifferenti disponibile in streaming su Raiplay.