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Dopo giorni di incertezze, finalmente i maturandi e i ragazzi che dovranno sostenere l’esame di terza media hanno avuto delle risposte ufficiali su date e punteggi delle prove. Si partirà il 17 giugno e per la maturità non ci saranno prove scritte ma solo un orale più lungo, in cui i ragazzi partiranno da un argomento a scelta sulle materie di indirizzo, concordato insieme ai professori. È quindi stata scongiurata la possibilità, più volte paventata nelle settimane scorse, di un anno scolastico senza esami. Un evento che effettivamente in Italia ha avuto, nel passato più o meno recente, pochissimi precedenti.
Come raccontato più volte anche da Andrea Camilleri, nell’estate del 1943, a seguito dello sbarco angloamericano in Sicilia, le scuole vennero chiuse e gli esami di Stato soppressi, considerando valido lo scrutinio del terzo trimestre. “Non abbiamo fatto gli esami di maturità perché gli inglesi ormai erano a Lampedusa”, raccontava nel 2012 a Saverio Lodato il papà di Montalbano. “Allora arrivò l’ordine dal provveditorato – o come si chiamava allora – che gli studenti di terza liceo fossero promossi o bocciati a scrutinio, d’ufficio. Ottenni la promozione. Fine del discorso. In altre parole non ho sostenuto gli esami di maturità”.
“Fu una bella estate, per me, quella del 1943”, ricordava Miriam Mafai. “Vennero aboliti gli esami di maturità, e sostituiti dagli scrutini. Avevo diciassette anni e mi sembrava di essere molto felice”. Similmente raccontava qualche giorno fa a La Repubblica Aldo Tortorella: “Nella tarda primavera del 1943 arrivò la notizia che l’esame di maturità era stato soppresso. Ci avrebbero giudicato sulla base dei voti dell’anno. Io ero tra quelli bravi e accolsi la novità con una certa indifferenza. Qualche settimana dopo cadde il fascismo. Quelli che andavano meno bene e che speravano in un riscatto all’esame furono i più delusi. I professori però alla fine furono di manica larga, prevalse un senso di eccezione”.
Un intervento simile, scuole chiuse ed esami in forse, si ebbe nel Nord Italia nei mesi a cavallo tra il 1943 e il 1944 con il Paese diviso in due dalla Linea gotica. A esserne interessato, tra gli altri, un uomo, all’epoca un ragazzo, che avrebbe in futuro conosciuto la Cgil molto bene. Il suo nome era Luciano Lama. Se Bruno Trentin è stato il segretario intellettuale della Confederazione, Guglielmo Epifani ha diretto l’Esi (Editrice sindacato italiano), in pochi sanno che Lama era dottore in Scienze politiche. Lama si iscrisse alla Cesare Alfieri di Firenze nel 1939. Quattro anni dopo, da disertore, perché non rispose alla chiamata della Repubblica di Salò, con il nome di battaglia di Boris Alberti, discusse la tesi di laurea dal titolo ‘Case coloniche della mezzadria classica in Romagna’. L’attestato gli sarà consegnato anni dopo dal rettore dell’ateneo, Piero Calamandrei. L’Archivio storico dell’Università degli studi gigliata conserva il fascicolo studente di Luciano Lama con iscrizioni, verbali di esame, diploma di maturità scientifica, verbale dell’esame di laurea; il suo nome è presente inoltre nel Registro delle carriere degli studenti. Sia il fascicolo che il Registro della carriera sono disponibili per la consultazione, mentre la tesi di laurea sembrerebbe essere andata dispersa.
La Cesare Alfieri, fondata nel 1875 col nome Scuola di Scienze sociali, è la più antica Scuola di scienze politiche e sociali d’Italia. Fin dalla sua istituzione ha dato un contributo di grande rilievo alla formazione delle classi dirigenti del Paese in tanti e diversi campi. Tra i laureati illustri Carlo Rosselli, Sandro Pertini, Indro Montanelli e Giovanni Sartori solo per citare alcuni nomi. Sempre nel 1943, a Torino, venne proclamato dottore in giurisprudenza un uomo con il quale Luciano Lama avrà molto da condividere nella sua carriera da sindacalista, il futuro presidente della Fiat Giovanni Agnelli. Probabilmente l’unica cosa ad unire i due uomini e a vederli negli anni sullo stesso lato della barricata sarà la fede calcistica comune. Leggi: Tra la rivoluzione e la Juve. La passione dei leader Pci per il calcio. Agnelli è ricordato dai più proprio con il soprannome de ‘L’Avvocato’ per via del suo titolo di studio, anche se, non avendo mai sostenuto l’esame da procuratore, il titolo a tutti gli effetti non gli è mai appartenuto.
In una lontana occasione Luciano Lama spiegava così il tipo di rapporti che si era stabilito con ‘L’Avvocato’: “Tra me ed Agnelli non ha mai spirato aria d’acredine, di cattiveria, di spirito di vendetta. Eravamo avversari, questo sì, ma schietti, leali, rispettosi l’uno delle responsabilità dell’altro: tra noi valeva la parola più di ogni codicillo scritto. Cercavamo di affrontare le cose in modo tale da non offenderci reciprocamente nella dignità e ci siamo riusciti”. Parole che riempiono di nostalgia per un tempo così diverso dal nostro oggi, un tempo in cui si era avversari ma non nemici, una differenza di forma che però diventa sostanza, sostanza che forse, almeno in parte, sarebbe opportuno riscoprire e riapplicare, oggi più che mai.