23 mila siti contaminati da Pfas in tutta Europa, compresi più di 2.100 considerati “hotspot”. Chi vive in prossimità di queste zone sopporta un fardello tossico cento volte superiore alla media dei cittadini europei. L’inquinamento da sostanze perfluoroalchiliche, prodotte dall’industria chimica e usate in tantissimi oggetti di impiego comune per le proprietà idrorepellenti e oleorepellenti, mette in pericolo la salute, l’ambiente con conseguenze gravi e durature: sono stati collegati a cancro, infertilità, malattie della tiroide, obesità, soppressione del sistema immunitario e molti altri disturbi.

La denuncia, l’ennesima, arriva dalle comunità colpite dalla contaminazione da Pfas in Francia, Germania, Italia, Belgio e Paesi Bassi, sostenute dall’European Environmental Bureau e da WeMove, che nei giorni scorsi hanno inviato una lettera alla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen chiedendo un incontro urgente e la messa al bando delle forever chemicals, con una settimana di mobilitazione in tutto il continente.

La mappa della contaminazione

Le stesse istanze che porta avanti la petizione promossa dal Greenpeace affinché il nostro governo vari subito una legge che introduca il divieto dell’uso e della produzione dei Pfas in tutta Italia. L’associazione ambientalista ha realizzato la prima mappa della contaminazione da Pfas nelle acque potabili del nostro Paese, raccogliendo tra settembre e ottobre dell’anno scorso 260 campioni in 235 città, dalle Alpi alla Valle dei Templi, nell’ambito della campagna “Acque senza veleni”.

Risultati preoccupanti

I risultati? A dir poco preoccupanti. A essere contaminato da Pfas non è solo il Veneto, dove in un territorio di 180 chilometri quadrati - che si estende tra le province di Vicenza, Verona e Padova, su un’area in cui vivono 350 mila persone – la falda acquifera più grande d’Europa è stata inquinata per 40 anni dalla ditta Miteni di Trissino.

Il 79 per cento dei campioni analizzati da Greenpeace, che si è servito di un laboratorio indipendente, risulta di fatto contaminato da almeno una sostanza appartenente alla categoria dei Pfas, con situazioni più critiche registrate in Liguria (8/8 campioni), Trentino Alto Adige (4/4), Valle d’Aosta (2/2), Veneto (19/20), Emilia Romagna (18/19), Calabria (12/13), Piemonte (26/29), Sardegna (11/13), Marche (10/12) e Toscana (25/31).

Solo in 54 campioni (21 per cento) non è stata registrata la presenza di alcuna sostanza. Le regioni in cui si riscontrano meno campioni contaminati sono, nell’ordine, Abruzzo (3/8), l’unica con meno della metà dei campioni positivi, seguita da Sicilia (9/17) e Puglia (7/13).

Città al top

Le città con le concentrazioni più elevate sono risultate Arezzo, Milano (Via Padova) e Perugia, seguite da Arzignano (Vi), Comacchio (Fe), Olbia (Ss), Reggio Emilia, Ferrara, Vicenza, Tortona (Al), Bussoleno (To), Padova, Monza, San Bonifacio (Vr), Ceccano (Fr) e Rapallo (Ge). Il caso di Milano spicca come il più critico in assoluto.

Regole dal 2026

“In molte aree d’Italia viene attualmente erogata acqua potabile che in altre nazioni non viene considerata sicura per la salute umana – sostiene Giuseppe Ungherese di Greenpeace -. Il 41 per cento dei campioni che abbiamo analizzato in Italia supera per esempio i limiti vigenti in Danimarca sui Pfas nell’acqua, mentre il 22 per cento supera le soglie introdotte negli Stati Uniti. Mentre a oggi da noi non c’è una regolamentazione ad hoc: solo a inizio 2026 entrerà in vigore la direttiva europea 2020/2184 che prevede un valore limite di 100 nanogrammi per litro. Un provvedimento, tuttavia, che non tutela in modo adeguato la salute”.

Questo perché le più recenti evidenze scientifiche hanno valutato che questi parametri fissati dalla direttiva europea sono troppo alti. Non è un caso che Paesi come Danimarca, Paesi Bassi, Germania, Spagna, Svezia e regione belga delle Fiandre, oltre che gli Stati Uniti, abbiano già adottato limiti più bassi.

Quali veleni nell’acqua

Il veleno più diffuso nelle analisi di Greenpeace risulta essere il Pfoa, classificato come cancerogeno dall’Agenzia delle Nazioni Unite per la ricerca sul cancro, presente in un totale di 121 campioni (47 per cento), seguito dal composto a catena ultracorta Tfa (104 campioni, il 40 per cento) e dal possibile cancerogeno Pfos (58 campioni, il 22 per cento).

“L’elevata presenza del Tfa, acido trifluoroacetico, finito al centro delle attenzioni del mondo scientifico solo negli ultimi anni – si legge nel report dell’associazione ambientalista -, un composto impossibile da rimuovere con i più comuni trattamenti di potabilizzazione, rende ancora più grave la mancanza di dati pubblici sulla contaminazione da Pfas delle acque nel nostro Paese. Molto diffusi risultano anche altri di più recente introduzione come Pfba e Pfbs oltre al 6:2 Fts”.

Le richieste

Milioni di persone in Italia sono quindi esposte attraverso l’acqua potabile a sostanze chimiche pericolose e bioaccumulabili, conosciute per essere interferenti endocrini e causare l’insorgenza di gravi patologie tra cui alcune forme tumorali.

“L’incapacità politica di affrontare questa emergenza sta permettendo a inquinatori senza scrupoli di continuare a operare in Italia a scapito della salute dei cittadini – conclude Ungherese -. Per questo chiediamo di varare una legge che vieti l’uso e la produzione di tutti i Pfas in Italia. Inoltre, si definiscano limiti più severi alla presenza di Pfas consentita nelle acque potabili, si garantisca a tutta la popolazione l’accesso ad acqua potabile priva di Pfas, si fissi per le industrie un valore limite allo scarico di queste sostanze in ogni matrice, e si supportino i comparti produttivi nazionali in un piano di riconversione industriale che faccia a meno dei Pfas, puntando su soluzioni alternative già disponibili”.