PHOTO
La Sicilia boccheggia: gli invasi sono asciutti, il lago artificiale Fanaco da settimane si sta prosciugando, la crisi dell'agricoltura è strutturale, con perdite disastrose. In Sardegna la Regione ha proclamato lo stato di emergenza per siccità, lo stesso in Calabria. In Puglia i raccolti sono dimezzati e gli invasi non hanno più acqua.
E ancora. In Basilicata si stima la perdita del 90 per cento del raccolto del grano e del 40 per cento delle produzioni delle vigne a causa della carenza idrica. Situazioni di particolare criticità anche in diverse aree delle Marche, diminuzione della disponibilità della risorsa in Abruzzo, delle portate delle sorgenti e dei corsi d’acqua in Umbria, dove c’è un ulteriore abbassamento del livello del lago Trasimeno.
Allarme per il Sud
La fotografia di questa estate italiana siccitosa e calda è preoccupante: l’emergenza acqua sta facendo sentire i suoi effetti, in particolare al Sud. Alcune città hanno già proceduto alla riduzione della pressione nelle condutture, alcune aree rischiano il razionamento.
C’è già chi fa il conto dei danni: per Legacoop il settore produttivo più colpito è l'agricoltura con dati assolutamente disastrosi, quattro miliardi di euro andati in fumo nelle regioni del Meridione e quasi 33 mila posti di lavoro persi solo nel primo trimestre 2024.
Effetto dei cambiamenti climatici
Ma come siamo arrivati fin qui? “La riduzione delle piogge invernali è uno degli elementi chiave dei cambiamenti climatici in atto in Italia e nel bacino del Mediterraneo centro-occidentale, e nei prossimi decenni si attende un’accelerazione”, spiega Massimiliano Pasqui, ricercatore del Cnr: “A questo si aggiunga l’aumento delle temperature estive. Questi aspetti vanno in una direzione complessiva per cui la gestione dell’acqua sarà sempre più critica. In Sicilia, attualmente la zona che sta soffrendo di più, la siccità è l’effetto della carenza delle piogge dello scorso inverno, da novembre 2023 a tutta la primavera 2024”.
Una situazione che è maturata nel corso dei mesi e che arriva ad acuirsi in estate, periodo durante il quale nel Mediterraneo piove pochissimo, fa molto caldo e c’è una maggiore necessità di consumi idrici.
“La siccità non può e non deve essere gestita come un’emergenza – dichiara Christian Ferrari, segretario confederale Cgil -. Il cambiamento climatico ha reso questo fenomeno strutturale, con gravi ripercussioni economiche e sociali. Servono strategie, pianificazione, investimenti, capacità di spesa. Dobbiamo agire con urgenza per contrastare il riscaldamento globale e l’inquinamento, con un radicale cambio di sistema, a partire dall’uscita dalle fonti fossili”.
L’acqua diminuisce
La differenza rispetto agli anni passati, è che sappiamo molte più cose sul fronte dell’andamento delle piogge e della situazione idrica a livello generale e anche territoriale. “Abbiamo coscienza che non abbiamo più la stessa disponibilità di risorsa di una volta: dal 1951 a oggi il trend è negativo e significativo dal punto di vista statistico” spiega Stefano Mariani, responsabile della sezione analisi e previsioni meteo-idrologiche e risorse idriche dell’Ispra.
Il minimo storico lo abbiamo toccato nel 2022 con una disponibilità annua per l'Italia di 67 miliardi di metri cubi, circa il 50 per cento in meno rispetto alla media annua dell'ultimo trentennio climatologico.
Il caldo aumenta
“Nel frattempo cresce l’evapotraspirazione”, prosegue Mariani: “La risorsa idrica naturale è la differenza tra quanto piove e quanto evapora da specchi d’acqua o traspira dalla vegetazione. Normalmente si aggira intorno al 50 per cento. Gli elevati valori di temperatura hanno determinato, specie negli ultimi anni, alti valori di evapotraspirazione rispetto alla precipitazione, raggiungendo quasi il 70 per cento nel 2022 (il massimo della serie dal 1951) e quasi il 60 nel 2023, rispetto a una media annua del 53 per cento su scala nazionale.
Aggiunge Mariani: “Le previsioni ci dicono che non ci sarà un’inversione di tendenza: avremo un innalzamento delle temperature, alcune situazioni in cui pioverà di più e altre in cui ci sarà un deficit di precipitazioni, e la disponibilità della risorsa sarà minore in particolare al Sud”.
Azioni e interventi
Tradotto: dobbiamo essere pronti a gestire sempre meno acqua, adattarci, adottare tutte le metodologie presenti e future, perché le crisi si ripeteranno e potranno essere peggiori.
“Anche se sono state fatte delle azioni, siamo in ritardo rispetto ad altri Paesi, ma questo non deve essere un alibi per mantenere lo status quo”, riprende Pasqui: “Dobbiamo potenziare gli interventi e non solo in circostanze emergenziali. Bisogna mantenere viva l’attenzione nei periodi di rischio zero, senza fare finta che il problema non esista. Le opzioni ci sono e sono tante, alcune sono implementabili velocemente, per altre ci vogliono anni. Non solo. Le misure di adattamento sono prettamente locali: l’azione che funziona in Sicilia non è detto che funzioni in Piemonte. Quindi gli interventi vanno calibrati territorio per territorio, in modo puntuale e preciso”.
Rete colabrodo
Secondo l’ultimo rapporto Istat, le reti comunali di distribuzione dell’acqua potabile in Italia perdono in media il 42,4 per cento della risorsa, una quantità tale da soddisfare le esigenze idriche di 43,4 milioni di persone per 12 mesi. Il dato, riferito al 2022, è peggiore di quello di due anni prima. L’Emilia Romagna è la regione che perde meno acqua, con il 29,7 per cento, seguita dalla Valle d’Aosta con il 29,8 per cento, mentre la più sprecona è la Basilicata con il 65,5, seguita dall’Abruzzo con il 62,5.
Risorse dove siete?
Il nostro Paese non si occupa più di acqua dal 1994, anno della riforma Galli e della nascita degli Ato idrici e non mette nel bilancio statale neppure un centesimo: gli investimenti vengono fatti attraverso la tariffa pagata da cittadini e imprese. Almeno finora.
“Tutti dicono che le Regioni i soldi ce l’hanno ma basta guardare i numeri”, afferma Simona Fabiani, responsabile Politiche per il clima, il territorio, l’ambiente e la giusta transizione Cgil: “Le domande presentate per il Piano nazionale di interventi infrastrutturali e per la sicurezza del settore idrico (Pnissi) relative ,a lavori da realizzare, ammontano complessivamente a 13,5 miliardi di euro. Quelli ammessi nel Pnissi, presentato il 19 marzo 2024, sono stati 418, per un valore di 12 miliardi di euro, da programmare nei prossimi anni con risorse di varia natura, statali o europee, che si renderanno disponibili. Per adesso c’è stato un primo stralcio di programmazione da 900 milioni di euro”.
Acqua e Pnrr
Le risorse necessarie, almeno stando alle richieste fatte dalle Regioni, sono tante, ma quanto previsto dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) è molto al di sotto del fabbisogno: 4,8 miliardi di euro in totale per la missione 2 (tutela del territorio e della risorsa idrica), che contempla tre investimenti per garantire la gestione sostenibile della risorsa. Di questi 4,8 miliardi, la spesa dichiarata al 19 luglio era bassissima, pari soltanto a 671 mila euro.
Il primo dei tre investimenti stanzia due miliardi di euro per interventi in infrastrutture idriche primarie, per aumentare la sicurezza dell’approvvigionamento.
“In questo caso gli appalti sono stati aggiudicati, da quanto si rileva sul sito Italia Domani, ma gli interventi non sono stati ancora avviati”, prosegue Fabiani: “Un altro investimento riguarda la riduzione delle perdite nelle reti di distribuzione dell’acqua: 1,924 miliardi di euro, di cui 900 milioni già assegnati. L’ultimo di 880 milioni di euro riguarda la resilienza dell’agro-sistema irriguo. Da segnalare che su quest’ultimo, dei 31 progetti presentati dalla Regione Sicilia per complessivi 400 milioni di euro, tutti sono stati considerati inammissibili dal ministero competente, il Mipaaf, e quindi non sono finanziabili”.
Tempi stretti, tanto da fare
Anche sui tempi siamo indietro: da quanto risulta, gli appalti sono stati assegnati però c’è solo un lavoro in corso, tutti gli altri sono ancora da avviare. Il dato di quanto è stato speso finora è molto basso, e anche questo è preoccupante, considerato che gli interventi andrebbero realizzati entro il 2026.
“Va approvata una legge che recepisca l’esito referendario per un sistema idrico pubblico e partecipato, solidale e interconnesso – ricorda Ferrari, Cgil -, che escluda il profitto e le regole di mercato dalla gestione dell’acqua e che combatta gli sprechi, riducendo il consumo pro-capite. E poi vanno realizzati gli interventi infrastrutturali e le misure di adattamento necessari per potenziare il servizio idrico, garantire acqua di qualità, favorire il riutilizzo delle reflue e la raccolta dell’acqua piovana, anche nelle nuove condizioni climatiche. Servono politiche di giusta transizione per evitare che la crisi idrica abbia impatti occupazionali e sociali negativi nei vari settori economici interessati da questo fenomeno”.