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Il 22 aprile ricorre la celebrazione della Giornata della Terra, l'Earth Day, che da 52 anni mobilita persone di tutto il mondo per la tutela del pianeta. Il tema di quest’anno è “Invest In Our Planet” (Investire nel nostro pianeta) e si concentra sull'accelerazione delle soluzioni per combattere il cambiamento climatico. Investire nel nostro pianeta, non solo in termini strettamente economici, è un’assoluta priorità. Anche in Italia lo richiedono le conseguenze sempre più drammatiche del climate change, la perdita di biodiversità e il rischio di estinzione a cui sono esposte un numero crescente di specie, che si sovrappongono e si incrociano alle questioni sociali, ai divari sempre più profondi fra territori, generi e generazioni, alla crescita delle disuguaglianze, della precarietà e del lavoro povero. Sono tutti sintomi di un sistema malsano, lo stesso che genera conflitti e guerre.
Investire nel nostro pianeta è un imperativo. Dobbiamo prenderci cura del bene collettivo più importante che abbiamo: la nostra casa comune. Perché la salute del pianeta e degli altri esseri viventi è strettamente legata alla salute umana ma non solo: tutti gli obiettivi di sviluppo sostenibile sono interconnessi e non potrà mai esserci giustizia sociale senza giustizia climatica, né pace senza rispetto dei diritti umani ed equità. Serve un radicale cambiamento di sistema, una giusta transizione verso un modello di sviluppo, in cui la sostenibilità sia veramente declinata sui tre pilastri: ambientale, sociale ed economico, che guardi a tutti gli obiettivi dell’agenda 2030 dell’Onu, pace, equità, garanzia di accesso ai diritti universali e rispetto dei diritti umani e del lavoro, piena occupazione.
Purtroppo non si sta facendo abbastanza in questa direzione sia a livello globale che nel nostro Paese. Gli ultimi provvedimenti del governo italiano ne sono un esempio. La decisione di portare al 2 per cento del Pil le spese militari invece di affrontare la questione sociale, occupazionale e salariale, gli interventi estemporanei per tamponare gli effetti dell’incremento dei costi dell’energia, invece di investire strutturalmente per il risparmio e l’efficienza e per la produzione da fonti rinnovabili, l’incapacità di eliminare, anche se gradualmente, i sussidi ambientalmente dannosi e in particolare i sussidi alle fonti fossili, l’assenza totale di politiche, piani e misure per la giusta transizione che aiutino ad accelerarla eliminando gli impatti sociali e occupazionali, la decisione di inviare armi all’Ucraina invece di promuovere il dialogo e la pace.
Ormai possiamo dire che anche il Pnrr, nonostante le straordinarie risorse in campo, non sarà in grado di imporre quella profonda trasformazione sistemica di cui il nostro Paese ha un disperato bisogno. E anche il Def, il Documento di economia e finanza appena approvato alla Camera, delinea un quadro di misure insufficienti e incoerenti rispetto a ciò che il Paese è chiamato ad affrontare rispetto alla situazione economica che si è determinata a seguito della pandemia e della guerra, con ripercussioni negative sui lavoratori, sui pensionati e sulle fasce più deboli della popolazione.
Tutto questo nonostante i ripetuti allarmi e richiami della scienza. Il terzo volume del sesto rapporto di valutazione dell’Ipcc, il panel intergovernativo delle Nazioni Unite, sulla mitigazione dei cambiamenti climatici uscito il 4 aprile scorso ci dice con chiarezza che il tempo per agire è adesso. Il rapporto ci consegna alcuni messaggi significativi, altri drammatici ed estremamente negativi, altri ancora di speranza: siamo completamente fuori rotta per limitare il riscaldamento a 1,5°C ma in tutti i settori ci sono le tecnologie che possono almeno dimezzare le emissioni entro il 2030; gli investimenti nella transizione sono da 3 a 6 volte inferiori a quelli che sarebbero necessari (a seconda delle regioni), ma c’è la disponibilità di capitale per riempire questo gap, occorre però spostare gli investimenti dalle fonti fossili alle nuove tecnologie sostenibili.
Purtroppo non c’è coerenza fra l’azione politica e gli impegni presi a livello globale, non c’è assunzione di responsabilità a fronte dei limiti del Pianeta e della necessità di ripartire in modo equo le risorse e la ricchezza, da parte dei Paesi ricchi nei confronti di quelli poveri e di quelli in via di sviluppo. L’agenda politica non è trasformativa, come sono invece gli obiettivi di sviluppo sostenibile, non si concentra sul cambiamento dell’economia da estrattiva a rigenerativa, da lineare a circolare, non ha l’equità e il benessere degli esseri viventi e del pianeta fra le proprie priorità.
Occorre affrontare questi temi con azioni concrete, con un ruolo forte dello Stato in economia, anche con la creazione diretta di lavoro garantito, per accelerare una giusta transizione verso un modello di sviluppo sostenibile, investendo in un sistema energetico democratico e decentrato, basato su efficienza e rinnovabili, mobilità sostenibile, circolarità, tutela dei beni comuni, formazione, ricerca e sviluppo tecnologico. L’augurio per la Giornata mondiale della Terra è che sia un altro giorno di lotta per la giustizia sociale, il lavoro, l’ambiente, i diritti.
Simona Fabiani, Responsabile Ambiente e territorio della Cgil nazionale