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Il fascicolo personale di Luigi Polano (anzi di Polano Luigi Riccardo, com’è scritto nel frontespizio) è conservato tra gli oltre 150 mila del Casellario Politico Centrale, la grande anagrafe del sovversivismo italiano inaugurata alla fine dell’Ottocento da Crispi e portata poi dal fascismo a proporzioni e livelli di dettaglio inimmaginabili.
Sono cartelle giallastre, di cartoncino spesso, dotate ognuna di una specie di busta interna, a mo’ di pancia del canguro. Nella cartella vera e propria c’è la fotografia dello schedato, i dati anagrafici, paternità e eventualmente maternità, luogo di nascita e di residenza, stato matrimoniale, eventuali figli, indirizzi postali, annotazioni sommarie sui tratti somatici. Insomma, la sua storia per grandi linee. Un timbro definisce l’appartenenza politica: “repubblicano”, “anarchico”, “socialista”, “comunista”. In certi casi alla definizione si aggiunge l’aggettivo “pericoloso”. In altri la perentoria annotazione: “da arrestare alla frontiera”. I dati sono continuamente aggiornati, come meticolosamente sono raccolte le informative contenute nella busta: comunicazioni di varie prefetture e questure del Regno, rapporti della polizia politica, annotazioni su attività o spostamenti del sorvegliato, trascrizioni di brani della sua corrispondenza captata dalla censura, eventuali atti processuali.
Il fascicolo di Polano, uno dei più grossi per consistenza e dei più vari per contenuto, è timbrato “comunista pericoloso, da arrestare alla frontiera”. La foto, probabilmente risalente all’immediato primo dopoguerra, raffigura un giovanotto magro, occhialuto, con l’aria mite dello studente. Ha ancora i capelli. Nel 1915, all’entrata dell’Italia in guerra, epoca alla quale risale la fotografia, il ragazzo aveva meno di 20 anni, essendo nato a Sassari il 3 aprile 1897. Il padre, Giovanni Antonio, era di idee mazziniane, seguace del gruppo democratico-radicale che alla fine dell’Ottocento avrebbe dato vita al quotidiano “La Nuova Sardegna”. Pare partecipasse alle affollate riunioni della “Frumentaria”, la sala del centro dove una Sassari piccolo-borghese e popolana si riuniva per ascoltare l’oratoria emozionante degli avvocati della sinistra radicale: Enrico Berlinguer il vecchio, Pietro Moro, Pietro Satta Branca, il futuro deputato d’opposizione ma poi senatore del re Filippo Garavetti. Mangiapreti. Repubblicaneggianti. Amici di quel Felice Cavallotti, il bardo della democrazia, al quale la città avrebbe dedicato un busto in una delle piazze del centro.
Il ragazzo Luigi si iscrive all’Istituto tecnico per ragionieri, una scuola che a Sassari gode di consolidato prestigio. E’ il 1913, terzo anno di corso, quando due compagni di classe, Agostino Falchi e Sebastiano Langiu, entrambi provenienti da famiglie di ferrovieri, lo portano alla sezione socialista. Il 1913 non è un anno qualunque. E’ l’anno delle prime elezioni politiche nazionali a suffragio universale maschile, dopo la riforma voluta da Giolitti. L’anno, anche, della sconfitta dei progressisti sassaresi, descritta in modo puntuale da Manlio Brigaglia nel suo bel libro del 1979 sulla classe dirigente a Sassari: Michele Abozzi, il deputato dei villaggi (come lo avevano soprannominato con scherno gli avvocati radicali) conquista il collegio cittadino. E’ un duro colpo: “Ha vinto col suffragio accordato anche agli analfabeti”, commenterà stizzosamente “La Nuova Sardegna”.
C’è del vero, ma la realtà è che il quadro stesso della politica cittadina (e non solo di quella cittadina) sta cambiando rapidamente, senza che la vecchia classe dirigente se ne sia accorta.
In quelle elezioni del ’13 il Psi elegge per la prima volta in Sardegna un suo deputato: è il piemontese Giuseppe Cavallera, il medico amato dai minatori dell’Iglesiente.
A dicembre Polano presenta domanda di iscrizione alla Federazione giovanile socialista, garanti i due compagni di scuola. Nei primi mesi del ’14 riceve la prima tessera. Agli inizi del 1915 lo troviamo già impegnato nel lavoro di organizzazione su scala regionale, partecipe attento del dibattito socialista sul foglio cagliaritano “La Lotta” e sul quotidiano “Il Risveglio dell’Isola”. Consegue quell’anno il diploma di ragioniere e subito entra a lavorare nella filiale sassarese del Banco di Napoli. Sul principio del 1916 entra a far parte del direttivo della Fgsi sarda. E per la prima volta la polizia si occupa di lui. E’ il 20 aprile 1916 e un puntiglioso rapporto della questura di Sassari comunica che i sovversivi Polano Luigi Riccardo, Cassitta Antonio, Meledina Giuseppe e Capitta Antonio sono stati eletti nel direttivo. Cassitta sarà poi anche lui tra i giovani comunisti del ’21. Polano è eletto segretario del comitato regionale.
E arriva il 1917, un anno spartiacque, l’anno fatidico della rivoluzione in Russia. Luigi compie 20 anni, e decide di trasferirsi a Roma. Ufficialmente per frequentarvi l’istituto superiore di perfezionamento nel lavoro bancario, in realtà per dare il suo contributo allo sviluppo nazionale della Federazione giovanile. L’esperienza romana sarà fondamentale. In quei mesi le notizie provenienti dalla Russia, riprese con enfasi dalla stampa socialista, agiscono come una sorta di acceleratore. In un clima già esasperato dalla sconfitta di Caporetto, dalle disastrose condizioni di vita imposte dalla guerra borghese, dall’autoritarismo di fondo delle istituzioni militarizzate, la propaganda dei giovani socialisti trova terreno fertile. Nel marzo Polano è tra i protagonisti del consiglio nazionale della Federazione, riunito in condizioni semiclandestine a Roma. Il 20 giugno un giovane dirigente socialista che anche lui si farà strada, Edoardo D’Onofrio, organizza una manifestazione di donne contro la guerra, per il ritorno dei soldati dal fronte e contro la fame. Li arrestano tutti, e Polano conosce per la prima volta il carcere, seguito da una condanna a 83 lire di ammenda.
Falcidiata dagli arresti dei capi, la Fgsi entra in crisi. Costantino Làzzari chiama allora Polano a far parte della segreteria provvisoria, carica destinata a diventare definitiva nel settembre 1917 al congresso nazionale di Firenze. Con Bruno Cassinelli e Amadeo Bordiga assume anche la direzione dell’organo ufficiale dei giovani socialisti, “L’Avanguardia”.
E’ un organizzatore instancabile, assiduo, abilissimo nel far perdere le sue tracce alla polizia. Non nasconde le sue simpatie per la Russia bolscevica, entrando in aperto contrasto con i riformisti turatiani. I rapporti della polizia lo danno presente dovunque: nel gennaio 1918 è di nuovo arrestato per disfattismo, ma prosciolto dopo un mese di prigione per insufficienza di prove. In maggio lo troviamo eletto nella giunta esecutiva dell’Unione socialista romana. In settembre partecipa a Roma al XV congresso del Partito. In ottobre è chiamato a far parte del direttivo della Camera del lavoro della capitale. Fonda la Lega gasisti. Arrestato a Piombino per aver tenuto un comizio non autorizzato agli operai delle acciaierie ancora militarizzati (è il 24 ottobre, la guerra in pratica è quasi finita), viene però assolto dal pretore. Ma rispedito con foglio di via obbligatorio a Volterra.
Finisce la guerra. E Polano rientra a Roma. Nel gennaio 1919 viene nominato rappresentante della Camera del Lavoro romana nel consiglio generale della Cgil, dove sostiene l’entrata nella grande confederazione degli operai anarchici. Un mese dopo aderisce ufficialmente alla corrente massimalista del Psi e contribuisce attivamente a diffondere in Italia l’appello di Lenin del 23 gennaio per la fondazione dell’Internazionale comunista. E in dicembre va a Berlino, dove appunto si riunisce il congresso fondativo della Internazionale giovanile comunista.
1919-1920. Un altro biennio decisivo. Polano diventa, quasi senza esserne consapevole pienamente, uno dei giovani dirigenti del movimento internazionale comunista che si va rapidamente articolando su scala europea. E’ del luglio 1920 la sua partecipazione al II Congresso dell’Internazionale Comunista (in realtà come “uditore”, trovandosi a Mosca come rappresentante dell’Internazionale giovanile). E vi svolge anche una parte attiva. Sulle tesi sui compiti fondamentali, presentate da Lenin, si oppone, a nome della delegazione italiana, al capo indiscusso della rivoluzione, contestando l’apprezzamento leniniano verso le proposte della sezione torinese pubblicate sull’ “Ordine nuovo” dell’8 maggio: nella nascente discussione sulla rivoluzione italiana, Polano è già con Amadeo Bordiga, e diffida delle posizioni del gruppo torinese, di quelli che considera gli intellettualismi di Angelo Tasca e del giovane Gramsci.
Rientrato in Italia, infatti, è tra i primi firmatari del documento di costituzione della frazione comunista. Nel cui comitato centrale, in novembre, viene puntualmente eletto.
E a Livorno, quel fatidico 21 gennaio 1921, tocca proprio a lui, a nome della Federazione giovanile, prendere la parola per dichiarare che ogni vincolo organizzativo col Psi è definitivamente spezzato e che i giovani socialisti aderiscono con entusiasmo al nuovo Partito comunista d’Italia, sezione dell’Internazionale comunista.
Si chiude qui una pagina, forse la più esaltante, della biografia di Polano, quella legata al suo ruolo decisivo nel processo culminato nella scissione. E se ne apre un’altra, meno pubblica, più grigia, clandestina, nella quale il suo ruolo risulterà ugualmente decisivo ma piuttosto come uomo d’apparato, come prezioso quadro dell’organizzazione.
Il giovane leader, insomma, cede il passo al maturo funzionario di partito. Nel nuovo Partito viene subito nominato responsabile del primo ufficio ispettori centrali. Lavora duramente a organizzare le sezioni e le cellule. E’ un’attività che forse gli si attaglia. Polano è uomo d’ordine: meticoloso, preciso, scrupoloso sino alla pedanteria. Forse non per caso è ragioniere. Percorre in quei mesi l’Italia in lungo e in largo, mentre si dedica ancora all’attività internazionale: nel marzo 1921 è a Berlino, in luglio a Stoccarda, al congresso dell’Internazionale giovanile (ma la polizia ne perde le tracce a Cracovia e per qualche giorno è un frenetico inseguirsi di telegrammi cifrati tra Roma e la Polonia). Nel marzo 1922, a Roma, prende parte al II Congresso del neo costituito Partito comunista, ma (segnale della nuova fase) non è più nel comitato centrale. In compenso viene mandato a Trieste, come redattore capo del quotidiano comunista “Il Lavoratore”. Incarico giornalistico, ma specialmente organizzativo: perché il giornale è sottoposto agli assalti di uno squadrismo fascista ogni giorno più violento e dunque si deve proteggerlo, assicurarne l’uscita clandestina quando la polizia lo sequestra, nasconderne le sedi di stampa. Un giornalismo alla macchia che dura poco: il 21 dicembre 1922 Polano, accusato di complicità col compagno Alfonso Leonetti a sua volta ricercato, viene arrestato e tradotto nell’ex carcere austriaco del Coroneo.
Ottiene, un’altra volta, l’insufficienza di prove. Ma non può evitare il domicilio coatto, da scontare in Sardegna. E’ il luglio 1923 ed è la prima volta che l’ex ragazzo torna a Sassari. Subito riallaccia i vecchi rapporti coi compagni. Finge di essersi calmato, frequenta persino i caffè alla moda della città, i ritrovi della borghesia cittadina.
Elegante, moderato, l’atteggiamento studioso, accentuato dagli occhialini da miope. Ma intanto tesse febbrilmente la rete clandestina: Peppino Tamponi a Tempio, Andrea Lentini (un eroico dirigente dei minatori che subirà tra poco anni di confino) a Gonnesa; Alberto Figus, il giovane avvocato che dirige il Partito a Cagliari; Riccardo Dessì, Giuseppe Meledina a Sassari. Mesi frenetici, dominati dalla necessità di far fronte alla repressione fascista. Il 1923 è l’anno che Paolo Spriano definirà quello della “battuta anticomunista”. Nel 1924 ci sono le elezioni politiche, le ultime dell’Italia libera, già inquinate dalla legge truffa firmata da Giacomo Acerbo e dalle adulterazioni del voto da parte fascista. Il PCd’I punta a presentare in Sardegna una lista propria. Gramsci, appena nominato segretario nazionale del Partito più per l’influenza dell’Internazionale che per la sua reale leadership in un partito che resta ancora molto bordighista, riunisce a Is Arenas, una spiaggia vicino a Cagliari, un po’ di quadri del sud dell’isola e trasmette loro le nuove parole d’ordine dell’alleanza operai-contadini. Riunione clandestina (Polano non vi partecipa). Ci si finge gitanti della domenica. Il compagno Scalas, da Oristano, ha portato un vassoio di paste.
Ma la lista comunista non sarà mai presentata, per carenza di firme e insufficienze dell’organizzazione sarda. Nell’estate la crisi Matteotti fa precipitare gli eventi. L’Aventino, le reazione rabbiosa di Mussolini (“se il fascismo è stato un’associazione a delinquere, io sono il capo di questa associazione a delinquere”), le leggi eccezionali e liberticide, lo scioglimento dei partiti. Inizia la lunga notte della dittatura. Polano riceve l’ordine del Partito di espatriare. Dovrebbe andare – gli dicono – negli Stati Uniti, a lavorare nell’emigrazione italiana. Invece fa tappa in Francia e lì si ferma. Secondo un rapporto della polizia italiana, in Francia sarebbe al soldo dei sovietici, adibito a compiti di controspionaggio. In realtà lavora intensamente nell’emigrazione, specie in quella sarda. Più volte in procinto di partire per il Medio Oriente e per l’Africa, alla fine si trasferisce ad Odessa, sul Mar Nero, dove intesse un paziente lavoro di propaganda rivolto ai marinai italiani delle navi che toccano quel porto. Fonda anche un’organizzazione di portuali. Poi si sposta a Novorossijsk, dove costituisce un club internazionale di marinai. Poi va a Batum.
Frequenti sono i suoi articoli sulla stampa comunista sovietica: il 29 luglio 1926, ad esempio, scrive per le Izvestija sulle corporazioni fasciste. Scrive anche sui giornali dell’antifascismo italiano (ad esempio sull’ “Ordine nuovo” di Buenos Aires). E’ anche l’inizio (ma qui le fonti si fanno più labili, e contraddittorie) di una misteriosa attività da primula rossa. Viene fermato a Turk, in Danimarca, con passaporto falso a nome Nicola Bariletti e una grossa somma di danaro. Cosa sta facendo? Quale è la sua missione? Nessuna risposta. Viene di nuovo arrestato a Parigi, dove è condannato a 100 franchi di ammenda e un mese di carcere per aver viaggiato sotto falsa identità. Interrogato applica alla lettera le istruzioni ricevute in caso di arresto. Cerca di depistare l’indagine. Riesce ad uscire dal carcere.
Lo ritroviamo nell’agosto 1936 è tra i firmatari dell’appello Per la salvezza dell’Italia, pubblicato su “Lo Stato operaio”. L’OVRA lo teme, lo pedina, riempie la sua cartella personale di allarmate relazioni. Come nel 1939, quando si allertano le autorità di frontiera, ritenendo Polano in Jugoslavia, in procinto di rientrare in Italia. Mentre in quella data altre fonti lo danno in Finlandia.
L’ambasciata italiana a Mosca e vari rapporti dell’OVRA lo indicano come un agente sovietico, responsabile anzi della sezione italiana della famigerata GPU, la polizia stalinista. Se ne riparlerà nel dopoguerra, e Polano negherà sempre recisamente. Certo, nel clima di piombo della Unione Sovietica degli anni Trenta, nel cuore per di più degli organismi internazionali, o si era stalinisti o non si sopravviveva. Polano fu infatti in quegli anni consapevolmente, autenticamente, direi anche onestamente un comunista stalinista. Lo era del resto Togliatti, impegnato ai vertici dell’Internazionale comunista. Lo era il quadro dirigente del Partito in esilio e in clandestinità. Influiva, anche, la suggestione potente dell’Unione Sovietica baluardo residuo della rivoluzione mondiale. E giocavano un ruolo decisivo le asprezze e le insidie di una lotta senza quartiere qual era quella che militanti come Polano combattevano quotidianamente contro le polizie di mezzo mondo capitalista.
Dopo la guerra di Spagna Polano è certamente a Mosca, dove dirige una scuola internazionale per i reduci. Lavora, almeno sino al giugno 1941, per la radio sovietica, insignito di tre prestigiose decorazioni: l’ordine della bandiera rossa del lavoro, la medaglia per la difesa del Caucaso, la medaglia per la guerra patriottica. Nell’ottobre di quello stesso anno Togliatti lo incarica di gestire la trasmittente clandestina del Partito che trasmette in Italia. E’ l’ultimo dei tanti misteri della vita del Polano rivoluzionario di professione. Quell’emittente funzionerà benissimo, sino al punto da inserirsi nelle trasmissioni Eiar, interrompendole. Sarà chiamata “la voce della verità” (o anche “lo spettro”, come definì Polano Mario Appelius, il famigerato propagandista del regime, più volte interrotto e talvolta impegnato in acri botta e risposta con Polano). Sino al giorno della liberazione di Roma, il 4 giugno 1944, la radio clandestina terrà in allarme l’Eiar e il regime. Ma di quale fosse la sede dell’emittente, di come si riuscisse nel boicottaggio, di chi lavorasse all’impresa Luigi Polano non volle parlare mai. Né allora, né poi. Neppure quando molti anni dopo gli fu chiesto espressamente da Enrico Berlinguer in persona.
La storia degli anni di ferro volge alla fine. Giugno 1945. Polano rientra in un’Italia appena liberata dai nazifascisti. Torna a Sassari, dove dal 1945 al marzo 1949 sarà segretario della Federazione, poi consultore regionale, consigliere al comune di Sassari. Quindi deputato per tre legislature, senatore nel 1964 succedendo a Velio Spano.
Un signore occhialuto, decorosamente vestito, mai invadente, affabile senza eccessi. Una vita decorosamente piccolo-borghese, trascorsa negli ultimi anni accanto alla moglie, in un piccolo appartamento in via Sardegna: il salottino sobriamente arredato, tanti libri alle pareti, un’aria di pulizia e di discreto benessere.
Ci sono stato, in quella casa, nei primissimi anni Settanta, quando per scrivere la sua biografia gli chiesi e lui generosamente mi concesse una lunga e bella intervista. Giovanissimo storico in erba, un po’ intimidito, suonai puntualissimo all’ora convenuta al campanello di casa Polano. Silenzio. Attesa, lunga, incomprensibile. Poi si aprì una finestra a un piano superiore e spuntò la sua testa calva, i suoi occhiali spessi da miope. Sinché non si fu accertato di persona che fossi davvero chi dicevo di essere, il vecchio sovversivo non mi aprì la porta di casa.
Prudente e cauto. Come era stato sempre, nella sua lunga vita. Silenzioso, modesto, soprattutto onesto. Quest’ultimo aggettivo potrebbe sembrare superfluo. Ma viste le circostanze storiche attuali non lo è. Come molti della sua generazione, anche di altri partiti, Luigi Polano visse a lungo nella politica ma non dalla politica. Spese la sua vita per la politica, non visse a spese della politica.
La vita di un rivoluzionario di professione. E insieme di un italiano esemplare.
* Deputato del Partito Democratico. Professore ordinario di storia delle istituzioni politiche e di storia dell’amministrazione pubblica all’Università di Roma La Sapienza.
Questo testo è una rielaborazione di:
G. Melis, Luigi Polano, in Il movimento operaio italiano. Dizionario biografico, Roma, Editori Riuniti, 1975-78, ad vocem.