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In una recente trasmissione televisiva, Mario Monti ha affermato che il suo governo era più a sinistra di quello odierno, perché almeno aveva una tassazione patrimoniale, di cui adesso si annunciano trionfalmente i funerali. Sul carattere di sinistra del governo tecnico è inutile discutere: è un’aggettivazione senza senso. In merito al carattere di destra del superamento della tassa sulla prima casa, invece, è agevole trovare un accordo.
Abolire una tassa per tutti è una scelta politica che contraddice l’impianto della Costituzione. La quale esige una valutazione progressiva delle capacità contributive dei cittadini. Cancellare l’Imu per una abitazione popolare è ben altra cosa che depennarla per la villa di Arcore, che ha un valore di circa 30 milioni. Problemi di eguaglianza, a questo punto, sono palesi. A essi si aggiungono altre considerazioni di giustizia, che valgono soprattutto per un paese che vanta livelli record di evasione fiscale.
Per il gioielliere che denuncia redditi da morto di fame, per l’imprenditore che dichiara di guadagnare meno del suo operaio, per il professionista che annuncia entrate da nullatenente, pagare la tassa per la sua lussuosa abitazione rappresentava la sola traccia di partecipazione alle spese della comunità. Abrogare la tassa sull’abitazione per il lavoratore dipendente o pensionato o anche per un lavoratore autonomo o esercente davvero con entrate esigue, è un segno di apertura sociale. Proporre di estinguerla anche per i ricchi è un segnale di profonda ingiustizia sociale.
Anche perché i mancati introiti per le casse comunali andranno comunque compensati. Nuovi balzelli, o ennesimi tagli dei servizi pubblici, saranno inevitabili per garantire qualche prestazione nelle città dell’abbandono. Si tratta, dunque, di una chiassosa manifestazione di un “laurismo 2.0” alla fiorentina, che scambia l’azione di governo con la trovata ingegnosa di una mossa a effetto per riscuotere un consenso drogato e quindi effimero.
La soppressione dell’Imu per tutti non ha alcun senso di politica economica (in un paese con il livello di debito pubblico dell’Italia è arduo rinunciare alla tassa sulla casa coprendo l’ammanco con il deficit), non serve certo per il rilancio della domanda interna. Ha solo un significato politico. È un messaggio elettorale a quell’area dell’evasione fiscale da sempre ostile alla sinistra della tracciabilità, dei controlli, degli ostacoli al pagamento in contanti.
All’ex Cavaliere la trovata “meno tasse per tutti” ha portato bene alle urne. All’Italia, no. Ora il governo Renzi cerca di emularlo, dichiarando guerra al partito delle tasse. Cose già viste. Non diceva quel tale che nella storia gli eventi si ripetono, una volta come tragedia e l’altra come farsa?