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E' un piatto ricco quello del Festival di Venezia 2012, la 69esima edizione della Mostra del cinema guidata dal nuovo direttore Alberto Barbera. Un piatto che - come sempre - nel suo programma concede ampio spazio al cinema sociale: dal precariato al caso di Eluana Englaro, dalla mafia alle rivolte arabe, molti temi "caldi" vengono toccati nelle proiezioni dal 29 agosto all'8 settembre, nella cornice del Lido veneziano.
Si comincia dal Concorso. Impossibile è non citare Bella addormentata di Marco Bellocchio, il film che ripercorre le ultime ore di Eluana. La pellicola mette in scena una serie di personaggi, tra cui un senatore assediato da dubbi morali e attivisti pro e contro l'interruzione della nutrizione artificiale: tutti coinvolti nella vicenda che ha segnato la recente storia d'Italia, il decesso della ragazza in stato vegetativo il 9 febbraio 2009 all'ospedale di Udine. Dopo le polemiche già in fase di realizzazione, è praticamente scontato che il film riaprirà il dibattito sul testamento biologico.
Meno seria l'impostazione di Daniele Ciprì, che presenta E' stato il figlio: si parla di mafia siciliana (è la storia di una famiglia di Palermo), ma la questione si affronta con il tono ironico e la vena tragicomica che sono propri del regista.
Sempre nella competizione, la politica è al centro di Aprés mai di Olivier Assayas: il cineasta francese racconta gli anni '70 a Parigi dagli occhi di alcuni liceali, ovvero i tumulti del movimento studentesco che continuano dopo il '68. Da Israele arriva Fill the void di Rama Burshtein: una ragazza deve affrontare un matrimonio combinato, a cavallo tra il contemporaneo e le tradizioni di famiglia.
La sezione Orizzonti entra nel mondo del precariato. Troviamo Gli equilibristi di Ivano De Matteo, protagonista Valerio Mastandrea: dopo la rottura con la moglie, Giulio è un quarantenne solo e padre di due figli. Deve sbarcare il lunario, pagare l'affitto e le bollette, mettere insieme pranzo e cena nell'Italia di oggi, segnata dalla crisi economica e dalla disoccupazione. "La nostra società non ha denaro da spendere per questi uomini, per quelli che rimangono indietro e non riescono a tenere il passo", ha osservato il regista. Da segnalare nella stessa sezione L'intervallo di Leonardo Di Costanzo, storia di una ragazza prigioniera in un palazzo di Napoli, ostaggio della camorra.
Le rivolte arabe non potevano mancare. Fuori concorso arriva It was better tomorrow, documentario firmato Hinde Boujemaa: in Tunisia c'è la rivoluzione e il film segue la storia di Aida, una donna coraggiosa che vuole ricominciare. Altro scenario di guerra in Witness: Libya di Abdallah Omeish: dopo la morte di Gheddafi si torna nel paese con il fotografo di guerra Michael Christopher Brown, che nel corso del conflitto è stato ferito da un colpo di mortaio. E' proprio lui a raccontare cosa ha visto e cosa aspettarsi dopo la caduta del regime. Winter of discontent di Ibrahim El Batout (sezione Orizzonti) ci porta in Egitto per raccontare i giorni di piazza Tahrir.
Il grande cineasta israeliano Amos Gitai, impegnato da sempre, stavolta salda un debito famigliare: Lullaby to my father è ispirato alla storia del padre Munio, perseguitato dai nazisti a partire dal 1933.
Tornando in Italia, è cinema sociale quello di Carlo Mazzacurati: il documentario Medici con l'Africa racconta la storia del Collegio universitario aspiranti medici e missionari, con sede a Padova. Compito dell'istituto è formare i cosiddetti "medici africani": professionalità in grado di gestire strutture sanitarie e ospedali sul campo nel territorio dell'Africa sub-sahariana.
Daniele Vicari non ha bisogno di presentazioni. Nell'ultima stagione cinematografica il suo Diaz, ricostruzione dei fatti del G8 di Genova, ha spaccato pubblico e critica - anche a sinistra - ottenendo il premio del pubblico al Festival di Berlino. Vicari torna a Venezia con il documentario La nave dolce: in 90 minuti racconta l'arrivo nel porto di Bari (8 agosto 1991) di una nave con oltre 20mila migranti albanesi, la prima volta che l'Italia si confrontò davvero con gli sbarchi. E poi lo sgombero del porto, la reclusione e il rimpatrio. "Avevo 24 anni - afferma il regista -. Ricordo l'arrivo della Vlora come una sorta di cataclisma mediatico. Quello sbarco segnò l'avvio di una rivoluzione socioculturale di proporzioni fino ad allora inimmaginabili".
Per chi ama guardare indietro, infine, Venezia presenta una serie di classici restaurati. Anche qui grande scelta: tra tutti segnaliamo Camicie rosse (1952), il film di Goffredo Alessandrini e Francesco Rosi che racconta la fuga di Garibaldi nel luglio 1849, dopo la caduta della Repubblica Romana. Una pagina dolorosa che portò alla morte della moglie Anita, ma col senno di poi tappa fondamentale per gli uomini che fecero l'Italia.