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A Cannes non c’ero ma ho letto i giornali e ho sentito commenti alla radio e alla tv. Per fortuna nessun pianto greco se il nostro cinema non ha ricevuto premi. È accaduto e accadrà ancora. Ci ho fatto l’abitudine. Non mi piace l’atteggiamento di chi vede un festival – Cannes o altri – come una sorta di campionato mondiale di calcio o di un match di pugilato. Non mi piacciono né l’attesa dei riconoscimenti né la delusione che arriva quando questi riconoscimenti non vengono attribuiti dalla giurie. Le giurie. Ovvero, accrocchi spesso inqualificabili, per i partecipanti e per le scelte stesse, fatte in genere con il bilancino delle varie opportunità (talvolta interessate e colpevoli), con i cuori patriottici o mediocremente interessati che battono per giudizi non sempre di qualità. Detto questo, andrò a vedere sicuramente il film che ha vinto, The tree of life di Terence Malick, e anche altri che si sono segnalati per i premi e i consigli dei critici di cui mi fido (ma non faccio nomi).
Intanto, però un paio di osservazioni vorrei farle, aperto come sempre al dialogo con i nostri lettori, quelli appassionati e competenti. È utile fare un passo indietro per recuperare, utilizzandoli come sponda, i momenti di grandezza del cinema italiano. Il nostro cinema è stato grande, grandissimo, nel neo-realismo, nella commedia cosiddetta all’italiana e nel cinema d’autore (Bernando Bertolucci, un nome a cui chiunque può accompagnare i nomi che crede; personalmente suggerirei Elio Petri). Lo è stato in modo sporadico anche di recente con gli autori che tutti hanno sulla punta della lingua: Moretti, Sorrentino e Garrone. L’elenco completatelo voi, se ritenete di volerlo farlo.
Il nostro cinema è stato bravissimo nel praticare il neorealismo e il realismo nelle sue tante varianti: ha guardato al sociale, alle rivoluzioni, alle speranze delle ideologie dentro e fuori i confini, alla criminalità, alle responsabilità delle classi dirigenti. Il suo bilancio è certamente significativo, e ha contribuito a rendere il nostro paese migliore almeno sul piano della democrazia. Bisognerebbe chiedersi, a questo punto, al di là delle palme o dei leoni o delle varie “coppe dei campioni”, se il problema stia proprio in questa lunga stagione consacrata a un realismo sistematico e oggi stanca e poco creativa. Me lo chiedo perché credo che la televisione, anzi le televisioni (tv movie e fiction), abbiano strapazzato il realismo ereditato dal cinema e lo abbiano reso fermo, bloccato, ripetitivo, annichilito nelle storie e nelle forme. Ognuno può verificarlo. Le tv italiane, poi, sono andate al di là di questo: hanno massacrato la rappresentazione della realtà e l’hanno resa insopportabilmente convenzionale. Anche in questo caso tutti possono verificarlo.
Pure l’informazione e i talk show hanno contribuito a questo massacro. Vogliamo parlare di quanto passa il “convento tv” in questi giorni elettorali? Con queste considerazioni voglio arrivare a un’ipotesi che vi sottopongo. Il nostro cinema deve alzare gli occhi dai livelli gregari di percezione. Deve imparare a guardare il mondo, ma soprattutto a guardare, e a capire, con rinnovata creatività, i sentimenti, gli umori, lo strazio della cultura e della sensibilità che pure esistono fuori e dentro le nostre mura.