PHOTO
L’approvazione della legge sulle unioni civili, pur rappresentando un passo avanti sul piano dell’affermazione dei diritti, non può e non deve diventare un banco di prova per generalizzare la regola per cui ogni prestazione di welfare deve essere subordinata alla prova dei mezzi individuale, ovvero alla certificata condizione di povertà di ognuno. È preoccupante il dibattito sui costi delle pensioni di reversibilità che si è scatenato non appena il Parlamento ha dato il suo assenso definitivo a un provvedimento tanto atteso dalle moltissime coppie omossessuali che, anche se con notevole ritardo, si vedono riconoscere finalmente il diritto a esistere e ad avere un riconoscimento sociale, senza pregiudizi e nel rispetto dell’uguaglianza.
Le previsioni di spesa sulle pensioni di reversibilità diffuse sui media, con un tempismo davvero sospetto, prima dal presidente dell’Inps Tito Boeri che ha parlato di un impatto “inevitabile, ma sostenibile”, nell’ordine di qualche centinaio di milioni di euro e poi quelle della Ragioneria generale dello Stato, che ha addirittura ridotto il costo a soli 22,2 milioni di euro da qui al 2025, lasciano qualche dubbio sulle reali intenzioni del governo. La leggerezza con la quale sono stati fatti i conti mal si concilia con il rigore espresso dalla stessa Ragioneria dello Stato ogni qualvolta è stata chiamata in causa per misurare il reale impatto finanziario delle misure legislative.
La Ragioneria ha sempre esercitato il proprio ruolo di controllo sui conti imponendo al Parlamento una copertura di spesa sulle singole misure esageratamente superiore a quella che spesso si è effettivamente verificata. Si pensi, per esempio, al rigore con il quale ha calcolato le conseguenze dell’opzione donna sulle pensioni, dando per scontato che ne avrebbero fatto richiesta tutte le lavoratrici potenzialmente interessate; la stessa cosa è puntualmente successa ogni volta che il Parlamento ha varato i sette decreti di salvaguardia per gli esodati. Risorse che nei fatti si sono rivelate superiori rispetto al reale impatto, tanto da indurre il governo a distrarre ciò che non era stato speso ad altri scopi, lasciando peraltro irrisolta la questione per i 24mila lavoratori rimasti senza alcun reddito esclusi dalla possibilità del pensionamento con le regole ante legge Fornero e che ora rivendicano a gran voce l’ottava salvaguardia. In sostanza, la Ragioneria dello Stato ha sempre fatto i conti in questo modo: se si riconosce un diritto a una particolare categoria di persone, il Parlamento deve sapere che i potenziali beneficiari sono tot e quindi la spesa non può che essere calcolata sulla base di una semplice moltiplicazione. Poco importa poi se alla fine l’impatto reale sia stato ben al di sotto delle aspettative.
Non vorremmo che dietro la polemica sulle pensioni di reversibilità agli omossessuali si nascondesse altro. In altre parole, è sospetta la sottovalutazione della previsione di spesa di Inps e Ragioneria dello Stato perché potrebbe nascondere la volontà di un intervento futuro generalizzato sulle pensioni di reversibilità, giustificato dalla verificata insostenibilità dei costi finanziari. Il sospetto è tutt’altro che infondato: che il governo voglia mettere mano su questa prestazione riducendone l’esigibilità per tutti è dimostrata dall’aver inserito questa voce nel disegno di legge delega sulla povertà; successivamente cancellata soltanto dopo la dura reazione del movimento sindacale confederale.
Ciò contribuirebbe a chiarire perché mentre il Parlamento decide l’estensione del diritto alla pensione di reversibilità alle unioni omossessuali contemporaneamente esclude da tale beneficio le coppie di fatto eterosessuali. Ci auguriamo, pertanto, che le proiezioni così tempestivamente offerte da Inps e Ragioneria dello Stato siano state fatte in modo corretto e che non siano, invece, frutto di un puro calcolo probabilistico per accelerare un processo di trasformazione del modello di welfare universale e solidaristico a un sistema di interventi destinati solo per contrastare la povertà più estrema. Il che escluderebbe la gran parte dei cittadini dal diritto all’assistenza previsto dalla nostra Costituzione.
Un “trucco contabile” che nasconde l’ennesimo tentativo di un compromesso al ribasso dei diritti per tutti, nel nome dell’elevato costo finanziario. La cancellazione delle pensioni di reversibilità non può e non deve passare perché – ricordiamolo – è una prestazione per la quale ogni lavoratore e ogni lavoratrice pagano i relativi oneri contributivi obbligatori. Perciò, sgombriamo il campo dalle ambiguità. Il governo e il Parlamento si concentrino piuttosto su misure che aiutino ad aumentare l’occupazione e attraverso questa via assicurino le pensioni in essere e future, soprattutto dei giovani.
Morena Piccinini è presidente dell'Inca Cgil