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L'articolo che segue è tratto da Idea Diffusa, l'inserto sul lavoro 4.0 realizzato da Rassegna Sindacale insieme all'Ufficio lavoro 4.0 della Cgil. Nel nuovo numero (qui il pdf integrale) aperto da un'intervista al segretario generale Maurizio Landini, parliamo del nuovo manuale “Contrattare l’innovazione digitale”.
Una volta tanto sono diverse le ragioni per leggere un volume, come quello curato da Alessio Gramolati e Gaetano Sateriale, “Contrattare l’innovazione digitale” (Ediesse, 2019). Un libro non solo denso di concetti, che rendono più chiara la ‘grande trasformazione’ verso la digitalizzazione dell’economia e le sue possibili conseguenze. Ma che fornisce anche una sorta di catalogo pratico su come il sindacato può giocare un ruolo in questa nuova partita, attraverso il ricorso a numerosi esempi e casi che mostrano come questo già avvenga concretamente in alcuni segmenti del nostro tessuto produttivo. L’ispirazione di fondo del libro – che raccoglie diversi contributi – consiste nel rendere evidenti e criticare i limiti del determinismo tecnologico, con cui tanti osservatori guardano in prevalenza al processo di innovazione in corso. La tecnologia, in questa ottica discutibile, viene vista come la creatrice di un mondo nuovo, e anche come lo strumento in possesso di tutte le chiavi per risolvere i problemi nuovi: che cosa è l’intelligenza artificiale se non un grande passe-partout che serve in modo inarrestabile a migliorare le performance, ma anche la stessa condizione umana?
Gli studi e proposte qui raccolti sfuggono alla tentazione di una lettura difensiva dal lato dei lavoratori e del sindacato, e invece si focalizzano sul ‘come’, attraverso un processo di auto-innovazione, sia possibile intervenire in questa dinamica per indirizzarne il senso e gli esiti. Non è vero che a questo riguardo vi siano mete e conseguenze già prefissate e non modificabili. Dal racconto del cambiamento contenuto in questi saggi possiamo chiaramente arguire come la differenza la facciano gli attori con le loro scelte, la loro capacità di inserire nel gioco altre variabili, di cui la principale consiste nella capacità di regolazione: fissare criteri – attraverso leggi e contratti – per migliorare l’innovazione tecnologica accompagnandola in una direzione socialmente più sostenibile. Tanto sul versante della quantità dell’occupazione, che su quello della qualità dei posti di lavoro e delle tutele. Dunque una regolazione che chiama in campo il ruolo delle istituzioni non meramente erogatore e finanziatore – come è stato largamente nel programma governativo Impresa 4.0 – ma anche effettivamente idoneo a dare apporto al salto d’insieme del sistema delle imprese. E anche ovviamente le parti sociali, a partire dal sindacato, che possono giocare il loro ruolo, a patto che sia ‘dentro’ la parabola tecnologica e ‘prima’ che essa compia il suo percorso. Ovviamente il volume si sofferma soprattutto su questa dimensione, che viene esplorata nelle sue potenzialità, ancora largamente inespresse.
In effetti nel suo contributo Gaetano Sateriale rende chiaro che le nuove tecnologie possono aiutare, se bene usate, ad affrontare con successo grandi sfide in tema di beni comuni, come ad esempio in tema ambientale. Ma per indirizzare nella giusta direzione questo grande potenziale spetta alle forze sociali “avviare gli indirizzi a più alto grado di inclusione per garantire la diffusione nazionale dell’innovazione e un suo maggiore beneficio sociale”. In cosa possa tradursi l’azione collettiva sindacale nell’era della digitalizzazione si può capire dagli altri contributi. E in particolare da quello di Gramolati. La carta principale che il sindacato intende giocare – a patto che vi siano alcune condizioni favorevoli – è quella che viene individuata e definita come ‘contrattazione d’anticipo’. Legata quindi alla possibilità di intervenire nel processo di decisioni e prima che esso sia istruito attraverso la condivisione con le aziende dei principali passaggi, nella direzione di rendere perseguibili maggiori benefici per tutti. Si tratta di co-progettare, progettare insieme ‘tra’ più soggetti, come viene chiarito, tecnologia, lavoro, organizzazione, formazione. Un approccio ambizioso che richiede alcuni presupposti, a cominciare da un management che sia disponibile alla condivisione del percorso, animato non solo dalla convinzione che questo materializzi maggiori vantaggi sul piano sociale, ma che sia una giuntura necessaria ad assicurare innovazioni anche davvero funzionali ed efficaci. Oppure, a un livello generale, da un quadro normativo, che senza arrivare a costruire obblighi troppo stringenti, sia almeno in grado di incentivare percorsi condivisi tra gli attori (anche oltre le parti sociali classiche).
Davanti a una innovazione digitale che rende il lavoro più differenziato, e nello stesso tempo con confini più evanescenti tra autonomia e dipendenza, aumentando inoltre la connettività tra i settori per andare oltre le vecchie partizioni classificatorie, cosa può fare il sindacato? Intanto, come sottolineano Gramolati e con lui altri contributi, operando in primo luogo attraverso l’innovazione su se stesso. Dunque viene giustamente ricordata ed enfatizzata la necessità di un salto culturale che deve riguardare l’insieme degli attori sociali e collettivi. La contrattazione dovrà aggiornare le materie rivendicative tradizionali, in modo da rendere le tutele più efficaci, e inoltre cambiare ottica: dedicandosi a catturare domande e differenze individuali, per fornire risposte su misura, anche se con l’obiettivo di cavarne un ‘valore collettivo’. Molto si è parlato degli algoritmi, che in modo impersonale e apparentemente oggettivo, dettano il ritmo e plasmano il lavoro nella grandi piattaforme tecnologiche. Ma questo nuovo ciclo della contrattazione ne contesta con evidenza il carattere oggettivo, e intende prospettare “nuovi diritti d’informazione e nuove capacità contrattuali”. Dunque un sindacato dotato di quadri più informati, capaci di decodificare le nuove tecnologie in modo da declinarle più a vantaggio dei bisogni anche ‘personali’ dei lavoratori.
Come risulta evidente dal volume si tratta di un percorso non scontato e che sta muovendo i suoi primi passi. Uno dei nodi è se esso riguarderà solo una parte dell’organizzazione, o se sarà capace invece di coinvolgerla nel suo insieme e in profondità (in parallelo a quanto sarebbe necessario per l’insieme delle organizzazioni sociali). La consapevolezza di questo asse è molto forte, tanto da avere orientato uno dei risultati pratici più interessanti prodotti dal lavoro collettivo impiantato su questo in Cgil: un aspetto spesso trascurato nelle organizzazioni, ma divenuto più vitale e in questo caso messo sotto i riflettori in modo adeguato. Si tratta di Idea diffusa: una piattaforma al servizio della contrattazione, di cui parla nel volume Chiara Mancini. Insomma ai sindacalisti viene chiesto di attivarsi attraverso una piattaforma online che funziona da circolazione delle esperienze, ma anche da costruzione dialogica di miglioramenti in itinere nelle proposte contrattuali, nelle soluzioni pratiche preferibili e nell’approccio con cui affrontarle. Non uno strumento teorico, bensì una vera e propria opportunità pratica da mettere alla prova in via sperimentale. Una ‘idea’, o forse una intuizione davvero utile, che bisognerà coltivare e vedere all’opera nel prossimo futuro.
Dunque le organizzazioni, e in questo caso la Cgil (ma anche la Cisl ha elaborato degli equivalenti) non stanno ferme a guardare. E hanno individuato per ora il metodo giusto e l’importanza di spingere verso una progettazione congiunta, la quale rinvia però anche all’attitudine a costruire una ‘nuova confederalità’ (Sateriale). A un libro non si può chiedere di più. Invece alle organizzazioni, con cui bisogna essere esigenti, sì.
Mimmo Carrieri è professore ordinario alla Sapienza Università di Roma