Ricostruire presto e bene è importante, ma non sufficiente. Quello che serve alle aree terremotate dell’Umbria e delle altre tre regioni colpite dal terribile sisma del 2016 è un progetto di carattere economico e sociale che faccia argine al più grande pericolo che incombe ora sulle aree interne appenniniche: lo spopolamento. A poco più di un anno dalla prima drammatica scossa del terremoto che ha messo in ginocchio gran parte del centro Italia, la Cgil dell’Umbria e di Perugia, insieme all’Ires, il centro ricerche del sindacato, sono tornate a fare il punto della situazione sull'emergenza terremoto e sull’avvio della ricostruzione. E lo hanno fatto presentando un ampio rapporto, curato dalla stessa Ires Umbria insieme alla Fillea (la categoria dei lavoratori dell’edilizia), sulle caratteristiche edili del cratere umbro, prima e dopo il terremoto.

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Dai numerosi dati raccolti emerge per l’Umbria una condizione di vantaggio su alcuni aspetti, per esempio la percentuale di edifici in buono-ottimo stato prima del terremoto era la più alta tra le 4 regioni, oltre il 90%, e non a caso in Umbria gli edifici dichiarati agibili dopo le verifiche di luglio 2017 (schede Aedes e schede Fast) sono sopra la media. Al contrario, con 20 scuole totalmente inagibili e 119 parzialmente o temporaneamente inagibili, l’Umbria è la regione messa peggio da questo punto di vista (solo il 56,6% delle scuole sono agibili). A Norcia ad esempio la prossima settimana le lezioni riprenderanno all’interno di moduli provvisori, che non possono garantire naturalmente lo svolgimento pieno di tutte le attività didattiche. L’altro campanello d’allarme viene dai dati sull’utilizzo delle abitazioni. 

Già prima del sisma (dati 2011) solo il 62,7% delle abitazioni nei 15 comuni del cratere umbro erano effettivamente occupate da residenti, un dato ben inferiore alla media di tutti i comuni terremotati. Ma ci sono situazioni, come quella ad esempio di Preci o di Poggiodomo, nelle quali le seconde case o le case vuote rappresentano il 70-80% del totale. "Qui è evidente - come hanno sottolineato Vincenzo Sgalla, segretario della Cgil Umbria, Filippo Ciavaglia, segretario della Cgil di Perugia, e Mario Bravi, presidente dell’Ires Cgil dell’Umbria - che in mancanza di un forte incentivo a rimanere sul territorio il rischio di abbandono è enorme”.

E da questo punto di vista - hanno sottolineato i sindacalisti - l’esperienza del terremoto del 1997 dovrebbe fare scuola: una ricostruzione fatta bene e anche in modo relativamente rapido non ha scongiurato, per alcuni territori della fascia appenninica, un progressivo spopolamento, dovuto soprattutto alla mancanza di opportunità di lavoro e di una prospettiva di sviluppo.

Ecco allora che per la Cgil diventa fondamentale progettare il futuro di tutta l’area terremotata, legandolo a doppio filo con quello delle aree interne del paese e della fascia appenninica. Non a caso la Cgil nazionale convocherà nei prossimi mesi gli Stati generali delle proprie strutture interessate dal terremoto, con l’obiettivo di "accertare lo stato di gestione dell’emergenza sismica e verificare dove e come sia iniziata la ricostruzione; predisporre griglie territoriali di priorità e sollecitare indirizzi e politiche di infrastrutturazione, ripopolamento e crescita economica; verificare lo stato di attuazione degli accordi territoriali e proporre una legge quadro per la gestione degli eventi sismici e delle emergenze territoriali".