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I ministeri dell’Interno e dell’Economia devono rimborsare la sovrattassa sui titoli di soggiorno perché illegittima. Dopo la prima sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Napoli il 20 febbraio scorso, da Bari giunge il terzo verdetto in pochi giorni. Questa volta ad essere interessati sono due coniugi albanesi in Italia dal 2012, che in tre anni hanno dovuto sborsare: lui 807,50 euro di ulteriori contributi per il rilascio dei titoli di soggiorno, lei altri 100 euro per il titolo di ricongiungimento familiare.
Due ricorsi distinti, ma con un verdetto univoco che conferma quanto già stabilito in altre sedi giudiziarie – il Tar del Lazio, la Corte europea e infine il Consiglio di Stato, chiamato a pronunciarsi a seguito di un ricorso della presidenza del Consiglio dei ministri – e cioè che l’ulteriore contributo, introdotto per decreto nell’ottobre 2011 e entrato in vigore dal 1° gennaio 2012, è annullato perché giudicato sproporzionato e di ostacolo rispetto alle finalità delle direttive comunitarie sull’integrazione dei migranti.
Per l’Inca e la Cgil, che hanno promosso i ricorsi in diversi tribunali, si tratta di una “conferma su cui il governo deve prendere provvedimenti immediati, senza aspettare altri giudizi che non potranno che avere lo stesso segno, poiché dopo il definitivo pronunciamento del Consiglio di Stato, la sovrattassa non ha più alcun supporto giuridico a giustificarlo”.
La storia di Renato Sauli, cittadino albanese regolarmente presente in Italia dal 2012, è emblematica di come l’ulteriore contributo incida pesantemente sulle magre risorse economiche di cui dispongono gli immigrati. Sauli è entrato nel nostro paese con un permesso per lavoro stagionale, successivamente convertito in un titolo per lavoro subordinato. Attualmente fa il camionista e paga regolarmente le tasse come gli altri. Nel febbraio 2012, ha pagato per il rilascio del permesso per lavoro stagionale 80 euro per l’”ulteriore contributo”, altrettanto ha sborsato nel momento in cui ha ottenuto un permesso per lavoro subordinato. Lo stesso importo lo ha versato nel febbraio 2014 al momento del rinnovo del titolo di soggiorno. Nel gennaio 2015, Sauli ha dovuto versare altri 100 euro di ulteriore contributo per ottenere un permesso di durata biennale, ma gli è stato riconosciuto solo per 7 mesi. Perciò, alla scadenza, ad agosto 2015, ha dovuto presentare un’altra domanda di rinnovo per la quale ha pagato un ulteriore contributo di 100 euro. Attualmente Sauli può contare su un titolo di soggiorno che scadrà nel luglio 2017.
In soli tre anni, dunque, dal 2012 al 2015, Sauli ha versato in totale 440 euro, a titolo di ulteriore contributo, a cui vanno aggiunti 367,50 euro per: 16 per marche da bollo, 30 euro di raccomandate 137,5 per il permesso elettronico, pari a 27,50 euro di tasse per le 5 domande di rilascio/rinnovo dei titoli di soggiorno. Per la moglie è andata un po’ meglio. Klevisa Veruari ha fatto ingresso in Italia a fine ottobre 2015 a seguito della domanda di ricongiungimento familiare presentata dal marito. Un mese dopo ha versato 100 euro quale ulteriore contributo, per ottenere il primo permesso di soggiorno per famiglia. Complessivamente i coniugi hanno sborsato la bellezza di 907,50 euro in tre anni.
“Ancora una volta ci dobbiamo rivolgere agli organi giudicanti – spiega Claudio Piccinini, coordinatore degli Uffici Immigrazione dell’Inca – per ottenere l’esecuzione di un diritto ribadito più volte sia dalla giustizia europea sia da quella italiana nei diversi gradi. Un fatto inaccettabile che non si sia ancora disposto per via amministrativa il diritto al rimborso per tasse non dovute dal 2012 a oggi”. Nell’annunciare che l’Inca continuerà la campagna di acquisizione delle istanze di rimborso, il patronato della Cgil avverte che “sono ancora molte le pendenze giudiziarie per le quali si attende un analogo esito”.