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Un anno fa, il 18 gennaio, la tragedia di Rigopiano: 29 i morti in tutto, ma 10 di loro erano dipendenti del resort di lusso, a 1.200 metri di altitudine sul versante pescarese del Gran Sasso. Erano al lavoro come sempre, quando, poco prima delle 17, furono travolti da una valanga di neve e detriti, che si era staccata dal Monte Siella, insieme agli ospiti dell’hotel, 40 in tutto. Un destino crudele, che oltre ad aver macchiato di sangue quel paradiso di montagne, per molti meta di vacanze, ha anche cancellato l’unica risorsa produttiva di Farindola, azzerandone l’intera economia.
Proprio in questo piccolo comune abruzzese di 1.800 abitanti, tanti anni fa, il proprietario dell’albergo, Roberto Del Rosso, deceduto insieme ai suoi dipendenti, aveva costruito le basi per rilanciare lo sviluppo di un’area, precipitata in una forte crisi per le ondate migratorie dei decenni precedenti, con un’azienda di 30 dipendenti e un indotto importante, capace di favorire la valorizzazione delle colture locali, facendo leva non solo sul turismo, ma anche sulla difesa e il rispetto dell’ambiente. Temi rispetto ai quali la comunità farindolese, negli anni, ha mostrato una particolare sensibilità, facendo nascere il primo regolamento applicato nell’area, successivamente adottato dalla Regione Abruzzo su tutti i parchi, dalla Maiella al Gran Sasso.
Sono passati 12 mesi da quella brutta giornata e gli strascichi di quel dramma sono ancora tragicamente presenti, non soltanto nell’inchiesta della magistratura ancora in corso per accertare le responsabilità dell’accaduto, ma anche nella vita delle famiglie dei caduti sul lavoro, alle quali in parte le istituzioni pubbliche non hanno riservato adeguate tutele. Su questo specifico punto, il patronato della Cgil di Penne-Pescara, che ha preso in carico le domande di riconoscimento delle prestazioni Inail, ha qualcosa da dire: “I genitori di due ragazzi, deceduti poco più che trentenni, non hanno avuto alcun aiuto – spiega Tito Viola, responsabile dell’ufficio Inca di Penne-Pescara –, in quanto l’Inail, appellandosi rigorosamente al rispetto della normativa vigente, ha rigettato le loro richieste di riconoscimento della rendita, e quindi non hanno avuto alcun indennizzo”.
Il presupposto normativo non prevede alcun contributo se i genitori eredi, pur risultando conviventi con la vittima, non risultano a carico del defunto. La morte è arrivata troppo presto per questi due ragazzi, prima ancora di formarsi una famiglia; perciò nulla è dovuto. Ma non è così per il patronato della Cgil: “Per noi dell’Inca i caduti sul lavoro sono tutti uguali – continua Viola –. È vero che bisogna rispettare le leggi, ma in questa occasione emergono delle disparità di trattamento che potrebbero essere superate modificando le norme. Sarebbe auspicabile che si procedesse in tal senso per dare pari dignità al dolore dei familiari, che hanno subito il più innaturale dei lutti”.
Non solo. Per l’Inca, oltre all’accertamento delle responsabilità del dramma, competenza della magistratura, c’è l’esigenza di una presa in carico di tutte le vittime del lavoro e delle loro famiglie, che è in capo alle istituzioni pubbliche. Proprio per ribadire questo concetto, il patronato della Cgil ha rivolto una richiesta specifica all’Inail; quella di porre a Rigopiano, nel luogo della tragedia, in occasione della festività del Primo maggio, una lapide in memoria di tutti i caduti del lavoro.