È attesa per il pomeriggio di oggi (mercoledì 11 gennaio) la sentenza della Corte costituzionale sull’ammissibilità dei tre referendum proposti dalla Cgil, sostenuti da oltre tre milioni di firme (presentate nel giugno scorso). I quesiti puntano ad abrogare le misure introdotte dal Jobs Act su licenziamenti e Statuto dei lavoratori, sui voucher e sulle norme che limitano la “responsabilità solidale” di appaltatore e appaltante in caso di violazioni sul lavoratore (introdotte dalla cosiddetta Legge Biagi del 2003).

Tre interventi che si legano alla proposta di legge d’iniziativa popolare sulla “Carta dei diritti universali del lavoro”, che ha raccolto oltre un milione di firme, con l'obiettivo di rimettere al centro il lavoro nella sua irrinunciabile funzione di agente del progresso economico e sociale. Proposta presentata alla Camera dei deputati, dove però ancora attende di essere calendarizzata.

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Il quesito su cui si è maggiormente appuntata l’attenzione generale è quello sui licenziamenti ingiustificati. La normativa attuale prevede il pagamento di un’indennità che cresce con l’anzianità di servizio (da quattro a 24 mensilità), mentre l’obiettivo del referendum è l’introduzione del reintegro nel posto di lavoro in caso di licenziamento disciplinare giudicato illegittimo, estendendolo anche per le aziende sotto i 15 dipendenti, fino a cinque addetti.

Questo specifico referendum ha registrato opinioni totalmente divergenti. L’Avvocatura dello Stato ritiene il quesito “manipolativo”, in quanto non si limita ad abrogare una norma ma punta a riscriverla, estendendo i limiti al licenziamento previsti sopra i 15 dipendenti a tutte le aziende che ne hanno più di cinque. Dall’altra parte, invece, si ricorda che nel 2003 la Corte ammise alla consultazione popolare un referendum sull'articolo 18 che estendeva le tutele a tutte le imprese fu vagliato dalla Consulta nel 2003 (il referendum, però, non riuscì a raggiungere il quorum).

A illustrare i tre quesiti ai 14 giudici della Consulta è Silvana Sciarra, allieva di Gino Giugni, padre dello Statuto dei lavoratori. Se il voto dovesse finire in parità sarà determinante il parere del presidente Paolo Grossi, che per regolamento in casi del genere vale doppio. Una situazione che – anche se in quel caso si valutava la legittimità di una norma e un quesito referendario - si è verificata nel 2015, quando la Consulta “bocciò” la norma sul prelievo pensionistico presentata dall’allora ministro Elsa Fornero.