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Il tratto fondamentale del nostro tempo, il tono dell’epoca, è dato dal crescere smisurato della diseguaglianza. In tutti i paesi, una piccola percentuale di popolazione detiene la gran parte dei redditi e dei patrimoni. Il fatto da sottolineare è che tale processo non è tanto un prodotto puramente ereditato dal passato, ma il frutto invece di un’inversione della tendenza di tutto il dopoguerra, di una rottura – affermatasi fino agli anni ottanta – di una politica di contrazione delle diseguaglianze.
Molti sottolineano come l’esplosione delle diseguaglianze metta in discussione l’essenza stessa dell’ideale democratico. Le grandi rivoluzioni della fine del Settecento – quella americana e quella francese – non avevano mai separato la democrazia come regime della sovranità del popolo dalla democrazia come forma di una società di eguali. Condorcet riassumeva cosi l’idea di modernità che aveva ispirato la rivoluzione francese: una marcia continua verso l’eguaglianza tra le nazioni e all’interno delle singole nazioni, la formazione progressiva di un homo aequalis rispetto al precedente homo hierarchicus della società nobiliare.
La diseguaglianza deve quindi essere pensata come un fatto sociale totale: non si limita solo a una pure nevralgica questione di redditi e patrimoni, ma investe le basi del vivere in comune. Con i suoi effetti in termini sociali di secessione, di separazione, di ghettizzazione; con i suoi effetti in termini politici di crisi della democrazia e di destabilizzazione delle varie forze della sinistra, storicamente portatrici dell’idea di eguaglianza. Oggi, come i più acuti osservatori sostengono, stiamo vivendo il tempo della secessione dei ricchi. L’eguaglianza delle opportunità è ancora, nella sinistra, l’idea dominante. È inevitabile chiedersi quale relazione si è realizzata tra tale idea di eguaglianza e il processo esplosivo delle diseguaglianze, che ha proceduto dagli anni ottanta.
L’eguaglianza delle opportunità, che ha trovato in Italia nel famoso discorso di Claudio Martelli sui “meriti e i bisogni” la sua formulazione più efficace, e nella pratica blairiana l’esperienza più organica, fonda una teoria della giustizia come teoria delle diseguaglianze legittime che porta a conseguenze disarmanti: una dissociazione tra giustizia distributiva e giustizia redistributiva, marginalizzando l’aspetto della redistribuzione; l’improponibilità del discorso sul livello minimo di risorse che una società democratica deve assicurare a tutti i suoi membri; una riduzione della questione sociale al tema della povertà, da affrontare attraverso la solidarietà umana piuttosto che attraverso la solidarietà di cittadinanza. In sostanza, un ritorno all’età delle leggi sui poveri, quelli che non arrivano alla fine del mese.
L’eguaglianza delle opportunità si è risolta, nel concreto, in un assecondamento più che in un contrasto delle dinamiche antiegualitarie della cosiddetta rivoluzione conservatrice. In verità, il vento della rivoluzione conservatrice, nel suo procedere, non ha incontrato ostacoli insormontabili. Una riformulazione dell’idea di eguaglianza diventa essenziale per il futuro della sinistra di matrice socialista. L’esplosione della grande crisi – è la crisi che dà, è la crisi che toglie e, ricorrendo a esempi domestici, ne sanno qualcosa Berlusconi e Bossi, ma anche Veltroni, che propone al Lingotto un partito liberal, mentre nel mondo esplode la più grande crisi del capitalismo – ripropone il discorso sull’eguaglianza in tutta la sua nettezza ed essenzialità.
Oggi, al tempo dell’individuo, l’eguaglianza può essere riproposta in tutta la sua potenza di idea-forza nel produrre e nel vivere il Comune e i suoi corollari, i Beni Comuni, come perno dell’organizzazione sociale, della società. Siamo, come sostiene Pierre Rosanvallon, alla seconda crisi dell’eguaglianza, dopo quella agli inizi del Novecento; alla prima, che la destra costruì attorno alle idee-forza del nazionalismo, della xenofobia, del protezionismo, la sinistra rispose con lo Stato sociale redistributivo. Nell’attualità, la risposta non può che essere più complessa: si tratta di passare dalla “solidarietà meccanica tra simili (di categoria, di etnia, di religione ecc) alla solidarietà organica tra singoli”, per usare la formula di Émile Durkeim.
Il quadro concettuale va riordinato quindi alla radice per rispondere alla stessa crisi: invece che meriti e bisogni, capacitazione e diritti, sul percorso indicato già dagli anni novanta da Martha Nussbaum, da Amartya Sen, da Bruno Trentin. L’affermazione dell’idea socialista nel ventunesimo secolo si giocherà attorno alla questione della democrazia integrale e del suo connotato egualitario; ma tale affermazione implica la costruzione di una macchina politica con molti motori – sindacato, cooperazione, autorganizzazione, movimento dei consumatori ecc –, che sappiano sprigionare nel loro operare quotidiano l’orwelliana air de l’égalité.
* Vicepresidente Federconsumatori