“Caro presidente Emiliano, hai preso una cantonata”. È senza appelli il giudizio della Cgil sulle affermazioni del governatore della Puglia che ha dichiarato di sostenere le posizioni “autonomiste” delle regioni Lombardia e Veneto, perché “chi produce più reddito deve avere la possibilità di utilizzare questo denaro in maniera superiore”.
“Al presidente sfugge in primis un dato evidente, e cioè che le regioni del Nord, più sviluppate, già ricevono risorse maggiori di quelle del Sud – afferma Pino Gesmundo, segretario generale della confederazione pugliese –. Non solo: la redistribuzione delle risorse non è una mancia per il Mezzogiorno ma risponde al dettato costituzionale, dove all’articolo 119 si legge che lo Stato promuove lo sviluppo, la coesione e la solidarietà sociale e rimuove gli squilibri economici e sociali. Tra territori e tra persone, tra chi ha di più e chi ha di meno, dentro i confini di una stessa regione e tra diverse regioni perché fino a prova contraria l’Italia è una paese e non una confederazione di stati”.
L’equivoco di fondo per la Cgil “è una lettura regionalistica della differenza tra quanto versano i contribuenti tramite il pagamento delle imposte e i benefici che ne derivano sotto forma di spesa e servizi pubblici. Il cosiddetto residuo fiscale è evidente che vede le regioni più ricche e sviluppate – sottolinea Gesmundo – dare di più rispetto a quelle del Mezzogiorno che ricevono più di quel che pagano”.
Ma per la Cgil è una lettura “molto superficiale che non tiene conto di alcuni fattori: la redistribuzione territoriale sarebbe iniqua qualora vi fosse un indice di spesa pro capite più alto al Sud e più basso al Nord, e questo non accade. Anzi la spesa pubblica è squilibrata a sfavore del Mezzogiorno che se vi fosse un vero federalismo fiscale dovrebbe ricevere più di quanto oggi lo Stato destina. Di contro la pressione tributaria in non poche regioni del Sud è allo stesso livello e talvolta risulta superiore a quella delle regioni del Nord. In altre parole nel Mezzogiorno si spende meno rispetto al settentrione ma si tassa in maniera uguale. Vanno considerati ancora due aspetti: il primo legato alla sede fiscale al Nord di numerose aziende che lì pagano la tasse ma producono beni, servizi e ricchezza nelle regioni meridionali. Infine, il mercato di venti milioni di persone che vive nel Mezzogiorno d’Italia ha un import che per il 70% proviene dalle regioni del Nord. Una interconnessione naturale in un sistema Paese al quale non si può guardare con la lente regionalistica solo quando si parla di tributi e risorse pubbliche”.
Per la Cgil non può essere il valore del residuo fiscale “a orientare le politiche di coesione territoriale, che devono tener conto anche dei fattori di contesto che impediscono un pieno sviluppo del Mezzogiorno, sul piano delle infrastrutture, della sicurezza, del capitale produttivo, della qualità dei servizi. È indubbio che i nostri amministratori devono spendere bene e meglio le risorse, a ogni livello – conclude Gesmundo –. Ma stupisce che Emiliano dimentichi tutti questi aspetti e si accodi senza alcuna motivazione a un’idea egoistica e regionalistica di sviluppo: salta dall’eccesso sudista e neoborbonico della giornata regionale in memoria delle vittime dell’Unità d’Italia a visioni nordiste e autonomiste. Che se passassero condannerebbero il Sud e i suoi cittadini a un futuro di povertà e desertificazione sociale. Ma assieme, lo ricordano tutti gli economisti, non avrebbe alcuna prospettiva di crescita l’intero paese, che o riparte sostenendo i territori più arretrati o non avrà speranze di competere su scala globale con economie più forti e avanzate”.