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Pensioni: che novità ci sono il giorno dopo il terzo incontro tra governo e sindacati? A questa domanda ha risposto oggi Roberto Ghiselli, segretario confederale Cgil, ai microfoni di Italia parla, la rubrica quotidiana di RadioArticolo1.
“Le distanze tra le parti sono ancora rilevanti – ha affermato il dirigente sindacale –: per questo, abbiamo chiesto un incontro a ottobre con il premier Paolo Gentiloni. Il confronto è stato utile, ci sono stati dei passi in avanti su alcuni aspetti, ma i nodi più importanti sono ancora irrisolti, come l’innalzamento dell’età pensionabile legato all’aspettativa di vita. Insomma, c’è bisogno di uno scatto che chiama in causa fino in fondo la volontà politica del governo, a partire dalle risorse da mettere a disposizione per un’operazione del 2018”.
“I nostri interlocutori naturali sono governo e ministero del Lavoro – ha detto l’esponente Cgil –, mentre ci sono soggetti come il presidente dell’Inps, che interpretano male il proprio ruolo, agendo su una trattativa che implica delle decisioni politiche, su cui Tito Boeri può intervenire solo su cose che attengono direttamente la sua funzione. Invece, il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, evidentemente pesa molto, nel senso che il Documento di economia e finanza e la successiva legge di Stabilità ci diranno quanto conta il ruolo e l’opinione del Mef. Noi siamo convinti che ci siano situazioni da affrontare con impegno al più presto, come disoccupazione giovanile e povertà. E in qualche modo, il tema previdenziale è collegato a tali questioni, perché se continuiamo a formare un tappo impedendo l’uscita dal mondo del lavoro dei più anziani, per i giovani sarà sempre più complicato trovare lavoro, come dimostrano i dati occupazionali”.
“Il ministro del Lavoro Giuliano Poletti ha assunto una posizione di attesa sull’innalzamento dell’età pensionabile e su questo siamo molto critici, perché non dare risposte ora significa non darle mai più. Noi pensiamo che, in particolare per le donne, ci sia bisogno di intervenire con qualche modifica, perché l’automatismo attuale porta la crescita dell’età all’infinito, senza tener conto dell’impatto sociale che hanno misure di tal genere. Non fare nulla è un grosso errore, perché non parliamo di numeri o di conti economici, ma di persone che fanno certi lavori a una certà età e hanno tanti anni di contributi che non possono proprio più lavorare. Così com’è uno sbaglio non dare prospettive previdenziali ai giovani, perché con l’attuale sistema coloro che hanno carriere discontinue con basse contribuzioni sarebbero oltremodo penalizzati. Anche in questo caso, la proposta del governo è del tutto inadeguata”, ha continuato il sindacalista.
“Il governo ha suggerito di abbassare da 1,5 a 1,2 volte l’importo minimo della pensione rispetto all’assegno sociale, maturando così il diritto a ritirarsi. Si tratta di un primo segnale positivo, anche se insufficiente. Noi chiediamo di costruire un sistema in cui si dica ai giovani: guarda, se tu t’impegni lavorando o comunque facendo formazione, stai sul mercato del lavoro. E tutto quello che versi - anche contributi fragili, perché magari fai una collaborazione, lavori a part time, sei pagato con i voucher - ti sarà comunque valorizzato, non andrà perduto e sarà considerato nel caso tu non abbia una pensione adeguata. È un’idea diversa da una pensione minima garantita a tutti a prescindere, perché è molto più seria, valorizza il sistema contributivo e la partecipazione delle persone al mercato del lavoro e non è assistenziale. Questa è la differenza rispetto alla proposta fatta dal governo”, ha aggiunto ancora Ghiselli.
“Sulle donne, invece, l’esecutivo si è riservato di fare una valutazione e una stima dei costi sulla questione da noi avanzata dello sconto e sull’età di pensionamento di un anno per ogni figlio, con un massimo di tre anni. Un’altra nostra proposta riguarda il lavoro di cura per le persone disabili dei nuclei familiari: in quei casi, abbiamo chiesto un anno di valorizzazione contributiva ogni 5 anni di lavoro di cura, perché in tal modo vai incontro a tante persone, soprattutto donne, che nel corso della loro vita hanno avuto a che fare con un figlio disabile o con un anziano non autosufficiente, dovendo conciliare molto spesso per diversi anni il lavoro professionale con l’assistenza a queste persone. Siccome anche quest’ultimo è un lavoro, noi chiediamo che venga giustamente riconosciuto”, ha concluso il segretario confederale.