L'Ape è uno strumento finanziario, non previdenziale. Questo deve essere molto chiaro. In pratica, ha tutte le caratteristiche di un prestito sul quale abbiamo espresso sin da subito una posizione di contrarietà”. A dirlo è Nicola Marongiu, responsabile dell'area contrattazione sociale della Cgil, intervistato da RadioArticolo1 in vista dell'incontro della settimana prossima tra governo e sindacati: “È vero che durante il confronto si è aperta una discussione su alcune agevolazioni. Ma strutturalmente resta uno strumento che non vede il nostro consenso, è evidente che non siamo nelle condizioni di fare un accordo”. Quanto alle risorse, “abbiamo sempre detto che bisogna prima ragionare di platee e poi individuare quelle necessarie. Se si fa l'operazione opposta rischiamo di procurare la lesione di alcuni diritti come è successo in passato per gli esodati”. Per le categorie svantaggiate, "al momento viene indicato un limite di reddito oltre il quale ci saranno dei costi per il lavoratore. Si ragiona su un limite di 1.500 euro lordi, che vuol dire circa 1.190 netti. Ma così resterebbe fuori una parte consistente del lavoro dipendente e anche di quello manifatturiero. Significa che chi usufruirà dell'Ape al minimo si ritroverebbe con un assegno intorno agli 800 euro al mese”.

 

Al tavolo con il governo i sindacati hanno portato proposte diverse. “Sulla flessibilità in uscita – sottolinea Marongiu – non abbiamo avuto risposte concrete. Siccome l'intervento sui lavoratori precoci costa, il governo ha fatto un passo indietro. Noi diciamo questo: chi ha lavorato prima dei 18 anni deve poter uscire a 41 anni di contributi senza penalizzazioni". Altro capitolo è quello dei lavori usuranti. “È senz'altro complesso individuare le categorie che ne fanno parte – prosegue l'esponente della Cgil –, però si ipotizza una manutenzione sulla norma che permetterebbe l'accesso al fondo non utilizzato negli anni scorsi. In ogni caso, serve un intervento legislativo per restituire al bilancio pubblico le risorse destinate agli usuranti. Resta il problema che l'attuale categoria di lavoro usurante non sarà ampliata, dunque rimarranno fuori i lavoratori edili e quelli delle cave”.

Sullo sfondo c'è la legge di bilancio che dovrà finanziare anche gli strumenti sulle attuali pensioni. “Qui la discussione è sulla platea dei soggetti che hanno diritto alla quattordicesima con l'obiettivo di innalzare il requisito da 1,5 a due volte il minimo, quindi in pratica a circa mille euro, incrementando però anche il livello dell'assegno sulla base delle classi di contribuzione. Per noi è una risposta che ha un senso, anche se avevamo posto l'esigenza di un intervento un po' più robusto che magari puntasse a tre volte il minimo”. Infine c'è il tema della rivalutazione su cui si sono succeduti vari interventi (governo Letta, sentenza della Corte costituzionale): “C'è l'impegno del governo a collocare la discussione nella seconda fase, anche in relazione a una rivisitazione del paniere Istat sui beni di consumo che attengono a quelle classi di reddito”.