Si potrà eccepire a lungo sull’opportunità tattica della mossa di Tsipras di giocarsi tutto in un sì o un no secco, senza scampo e rivincita. Discutere all’infinito si potrebbe anche del fatto che nuove misure lacrime e sangue, che colpiscono soprattutto i pensionati e i lavoratori, sono sottoposte al consenso di chi, quei tagli chiamati riforme strutturali, non solo non li vive sopra la propria pelle, ma può trarre persino vantaggi dai sacrifici altrui. Ma la sostanza politica non cambia. Il governo greco ha posto alla luce del sole un’emergenza sociale e ha lasciato che a sciogliere la contraddizione (aiuti in euro in cambio di altra povertà) fosse la democrazia, con un referendum.
Le grandi potenze economiche hanno, da par loro, partecipato alla sfida, lasciando per giorni i bancomat chiusi, per lanciare, con le riprese delle telecamere internazionali, un segnale forte e incutere alla gente paure ataviche. L’ordine (ossia il denaro e la finanza) deve regnare ad Atene, se non si intende perdere ogni cosa risparmiata. A rimorchio della dichiarazione di voto del capitale mondiale, si sono precipitate le leadership politiche (si fa per dire) del vecchio continente. E da Berlino a Parigi (con qualche labile distinguo del presidente socialista, nome ormai senza cosa), a Rignano, hanno inveito contro quel pazzo di Tsipras, il comunista fuori corso che esita a ordinare in fretta altri tagli, a chiudere il poco che rimane dei servizi essenziali, a licenziare in tronco.
Riforme impopolari le chiamano. E se non le adotti senza fare storie, non meriti l’appellativo di statista. E così, per sembrare statisti, questi politicanti europei da 10 anni giocano sulla vita degli altri, senza venire a capo di nulla: l’austerità invoca nuovo rigore. Sacrifici senza senso, privi di qualsiasi efficacia. Imposti, a dispetto del loro fallimento, con l’ostinazione di un potere che producendo esclusione sociale merita la ribellione delle masse, da Atene a Madrid. Quell’inferno sociale che chiamano Europa, non ha senso alcuno se significa povertà, precarietà, dominio assoluto del nichilismo del capitale.
Il governo italiano gongola, con il premier felicemente a rimorchio del carro teutonico, che – per una volta a suo agio – si vanta di aver varato le riforme (esodati, Jobs Act, contratti fermi da lustri). La politica europea si è trasformata in un’oscena gara a chi le inventa più grosse per condannare i propri cittadini all’incertezza e alla povertà. La sfida di Tsipras e di altre forze sociali europee che reagiscono al lugubre liberismo trionfante non si ferma con il referendum.
Le (anti)politiche dell’austerità sono un bolla di sapone che esplode al primo grido di rivolta, che tornerà come un incubo a riscaldare le piazze europee, che non si rassegnano alla paura e all’angoscia che il capitale vorrebbe tramutare in normale stile di vita quotidiano.
Povertà, precarietà, supremazia del capitale. Serve questa Europa?
Il governo greco ha posto alla luce del sole un’emergenza sociale e ha lasciato che a sciogliere il nodo fosse la democrazia. Quei tagli chiamati riforme strutturali
7 luglio 2015 • 00:00