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“Renzi batte i pugni sul tavolo dell’Unione europea, chiedendo più flessibilità nei conti e dicendo no alle politiche di austerity: il punto è che continua a farlo rimanendo prigioniero di quegli stessi vincoli che vorrebbe superare. La stessa miopia ce l’hanno Commissione e istituzioni Ue rispetto alla libera circolazione dei cittadini e alle questioni che riguardano l’immigrazione”. Così Fausto Durante, responsabile dell’Area politiche europee e internazionali della Cgil, oggi ai microfoni di RadioArticolo1.
“Il tema vero che il nostro Governo dovrebbe porre all’Europa – ha detto il dirigente sindacale –, come auspicano anche i sindacati nazionali e la Ces, è la ridefinizione dei trattati e la governance dell'economia e della moneta unica, che acquista un valore sempre più alto, considerando che se non lo si affronta l'Unione rischia la disintegrazione. Ieri è stato concordato una specie di memorandum tra il presidente del Consiglio europeo Tusk e il leader inglese Cameron, che concede alla Gran Bretagna la possibilità di sospendere il diritto ad avere sussidi da parte di cittadini non inglesi, residenti o lavoranti sull’isola. Anzichè consolidare lo schema europeo dei diritti di cittadinanza e del lavoro, questo sta confermando il cupio dissolvi dell’Ue”.
“La Gran Bretagna utilizza la cosiddetta brexit - la minaccia di uscire dall'Europa -, per attaccare i diritti dei lavoratori. Nella sua controproposta, l’Unione accetta una sorta di freno di emergenza, in modo da ridurre l'immigrazione senza mettere limiti, almeno ufficialmente, alla libertà di movimento dei lavoratori. In realtà, Schengen è già superato. È una discussione davvero ipocrita, perché si concede alla Gran Bretagna uno status particolare per mantenerla nell’Ue, senza rendersi conto che così si crea un precedente pericolosissimo. In tutta l’Unione si assiste ad attacchi al diritto del lavoro, al diritto di sciopero, al diritto di azione sindacale, che spesso sono sanciti dalla Costituzione: inseguendo le eccezioni, si distrugge il progetto europeo”, ha proseguito l’esponente Cgil.
“Di fronte alla crisi, le resistenze nazionali aumentano, mettendo in secondo piano la solidarietà intersindacale e tra i lavoratori dei diversi paesi. Però non c'è altra strada. Aver messo d'accordo 85 sindacati nazionali, che fanno parte della Ces, su un grande progetto europeo d’investimenti per lo sviluppo sostenibile e la creazione di buona occupazione, è un fatto molto positivo. Se non facciamo così, ciascuno di noi, a livello nazionale, potrà solo gestire in modo difensivo le conseguenze di processi decisi a Bruxelles o a Francoforte. Invece, dobbiamo passare all'attacco, aprendo una nuova stagione di rivendicazioni e, se necessario, anche di conflitti, per far cambiare politica all'Europa soprattutto sul piano del lavoro”, ha continuato il sindacalista.
“Rompere Schengen è autolesionista per gli Stati, perché equivale a quasi un punto di Pil in meno. Chi cavalca a fini elettoralistici messaggi reazionari e populisti, dovrebbe fare i conti con l’economia reale: ripristinare il sistema dei controlli alle frontiere dei 28 paesi dell’Unione sarebbe un laccio pesantissimo all’economia europea, mentre noi abbiamo bisogno dell’esatto contrario per il bene delle popolazioni, ovvero liberare l’economia e il lavoro dalla gabbia d’acciaio della rigidità dei trattati”, ha osservato ancora il responsabile della politica estera della Confederazione.
“Negli ultimi tempi, Mario Draghi ha lanciato diversi moniti per la salvaguardia dell’euro, ma la Bce è stata uno dei principali interpreti del neoliberismo in Europa, pur riconoscendo al suo presidente di aver cercato di uscire dall’ortodossia in materia di concessioni al credito, allargamento dei vincoli e sostegno alla domanda interna. La sua è stata una piccola volontà d’invertire la tendenza, che però si è scontrata con le politiche prevalenti, improntate al rigore e alla disciplina di bilancio. A Draghi bisognerebbe che i 28 paesi dell’Unione e la stessa Commissione europea chiedessero di cambiare indirizzo alla politica economica, ma, a quel che vedo, manca la convinzione ad agire in tale direzione, e anche il coraggio di completare un percorso iniziato tanti decenni fa: l’Europa è prigioniera di una mancanza di visione e di prospettiva della sua classe dirigente, che si è dimostrata largamente inferiore alle attese e alle necessità, preoccupata più che altro del consenso politico immediato, non rendendosi conto che così facendo ha provocato disastri dal punto di vista economico, sociale ed istituzionale. L’Unione deve ritrovare quello spirito di democrazia e di partecipazione dei cittadini: se non lo farà, l’idea stessa di Europa tramonterà definitivamente”, ha concluso Durante.