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Pietro Bartolo, 63 anni, medico siciliano, responsabile a partire dal 1992 delle prime visite effettuate a tutti i migranti che sono riusciti a sbarcare a Lampedusa, sarà a Pesaro sabato 23 febbraio in un incontro pubblico organizzato dal Silp Cgil e dalla Cgil provinciale, aperto agli studenti e a tutti i cittadini. Nell’occasione, Bartolo presenterà anche il suo libro “Le stelle di Lampedusa”, edito da Mondadori.
Rassegna Quali sono le stelle di Lampedusa contenute nel titolo del libro?
Bartolo Sono i bambini, i tantissimi bambini che in questi anni ho incontrato e visitato. Una stella è Anila, che è arrivata qui sull’isola da sola in cerca della propria madre. Anila aveva appena 11 anni quando è arrivata al poliambulatorio di Lampedusa proveniente dal Niger. Aveva nel corpo quelle che da medico ho chiamato “ustioni da gommone” e non sapeva neanche cosa fosse l’Europa. L’incontro con questa bambina mi ha aperto ancora di più gli occhi sulla realtà e, allo stesso tempo, ha avuto come effetto quello di turbare in diverse occasioni il mio sonno; ancora oggi, specie quando penso a tutti quelli che non si sono salvati. Ma molto luminose sono anche altre due stelle, Luisa e Monique, due suore che hanno accolto Anila. Senza dimenticare l’aiuto delle più alte istituzioni dello Stato e del Papa.
Rassegna Lei è considerato simbolo di umanità e di accoglienza…
Bartolo No, non voglio essere un simbolo. Sono un medico, ho fatto un giuramento e il mio lavoro è quello di prestare soccorso e curare chi ha bisogno. Faccio quello che ritengo giusto e che tutti dovrebbero fare. Mi ispiro a dei valori a cui tento di uniformare le azioni concrete della mia vita e non mi considero un eroe.
Rassegna Cosa vogliono dire per lei le parole accoglienza e integrazione?
Bartolo Alla parola “integrazione” preferisco “interazione”. Vuol dire far entrare queste persone nella nostra società per fare in modo che trovino un loro spazio, mentre più spesso vengono solo sfruttati. Io non credo che gli italiani siano razzisti, ma spesso sono influenzati da scelte politiche scellerate, che non tengono conto della realtà. Queste persone sono una ricchezza: demografica, sociale, culturale e umana. Noi tutti siamo il frutto di contaminazioni, ma purtroppo alcuni esponenti del governo in carica non ne tengono conto, interessati soltanto alla ricerca del consenso.
Rassegna Potrebbe essere quello di Riace e del sindaco Mimmo Lucano un modello di interazione?
Bartolo Certamente. Non conosco personalmente Lucano, ma ci siamo sentiti spesso al telefono. So quello che ha fatto a Riace. Potrebbe anche aver commesso qualche irregolarità, ma non si può negare che il modello Sprar funzioni. Ho molta stima per lui e credo che sia giusta la sua candidatura al premio Nobel per la pace.
Rassegna Cosa pensa del decreto sicurezza?
Bartolo Quale decreto sicurezza? Io lo definirei piuttosto decreto insicurezza: grazie a tale provvedimento certi avvoltoi per conto terzi sono pronti a sfruttare degli esseri umani con il lavoro, la prostituzione e la sottomissione alla malavita. Per giustificare questo drammatico stato di cose, si fa ricorso a un deplorevole terrorismo mediatico. La verità è che non c’è nessuna invasione, piuttosto si sentono tanta menzogne: ci rubano il lavoro, siamo invasi, la pacchia è finita. Non è vero, noi dobbiamo farli interagire non ghettizzarli. Perché negare loro il diritto di cittadinanza? E non mi si parli di buonismo. Non è buonismo, è rispetto del diritto a vivere una vita dignitosa. Sono consapevole delle responsabilità dell’Europa e delle lacune nell’attività di accoglienza, ma proteggere i confini non ha senso. Proteggere le persone dalla malavita, ecco la vera priorità. L’Italia con i suoi salvataggi ha onorato il mondo intero. Oggi siamo il fanalino di coda. Ma dobbiamo sapere che quando non arriveranno più i migranti, ci sarà sempre chi si metterà alla ricerca di un altro nemico.